lunedì 27 gennaio 2014

Sensazioni polimorfiche.

Mi è caduto l'occhio, pur nel grigiore di una giornata piovosa, sulle bandierine italo-europee, apppiccicate sul frontalino degli autobus, nel giorno della commemorazione dell'olocausto ebraico e, come in altre occasioni cerimoniali, mi è sovvenuto di paragonare questo sentimento ufficiale, in un mare di indifferenza e di ignoranza, all'opposto sentire di poco meno di un secolo fa, alla stessa indifferenza ed ignoranza, coalizzate insieme in frustrato accanimento. Il tempo è trascorso, gli ebrei stessi, con l'iconoclastia umoristica che li contraddistingue, hanno da decenni ironizzato sulla rendita di posizione dello sterminio. Lo hanno fatto dalla ridotta newyorkese, dove sono più numerosi, rappresentativi e potenti, perché ricchi, acculturati e influenti. Ma nell'Europa che li prese a pretesto della sua crisi, al negazionismo, si sono sommate le riemersioni dei fascismi nazionalisti e popolari che, come se il tempo e la retorica fossero scivolati su una lastra di vetro, hanno ripreso visibilità, influenza e suffragi. Ieri a Kiev, gli oppositori filo-europei hanno intonato vecchi, ma non dimenticati inni fascisti e hanno marciato al passo dell'oca, durante le ormai sanguinose manifestazioni contro il presidente in carica. Le manifestazioni di solidarietà agli ebrei si susseguono rituali, ma da una posizione di alterità che esula dalla cittadinanza e dai comuni precipitati civili che ne discendono. Questa volta la crisi è pilotata, indotta e controllata, ma, semmai dovesse precipitare, non è certo che, casomai pro quota, il pregiudizio semplificatorio non possa riaffacciarsi. Gli ebrei stessi, continuano a coltivare la loro separatezza nella convinzione di non poter addivenire ad un compiuto modus vivendi con i gentili, che li emancipi dal sospetto e dalla cautela. Un po' come la Chiesa, attraverso i Concordati, nei Paesi di cui non si fida circa le capacità democratiche e che, anche per questo, si propone di influenzare, più o meno pesantemente. Hannah Arendt, che dell'ebraismo fu critica politica fra le più sofisticate, attribuì agli ebrei medesimi la colpa parziale delle persecuzioni subite, per l'insipienza interpretativa degli eventi e, solo successivamente, per la servile collaborazione che alcuni di loro prestarono ai propri aguzzini, all'interno delle comunità che stavano per essere deportate e finanche all'interno dei campi di concentramento. Fin sulla porta delle camere a gas. Ma questo non può stupire:è spettacolo quotidiano. La discepola e a lungo amante di Heidegger, che del nazismo fu un suggeritore, ne analizza la storia secolare e gli stati subordinati e strumentali ricoperti nei secoli, fino ad identificare nei periodi di più intenso nazionalismo, i caratteri di maggior sicurezza per gli ebrei di corte, per gli ebrei prestatori e, a caduta, per tutti gli altri, quando qualsiasi signorotto, per darsi pregio, doveva avere il suo ebreo e, per converso, l'abbaglio della democrazia e dell'intenso dibattito, del quale gli ebrei hanno sempre saputo essere l'humus, ma nel quale si sono invischiati per troppa fiducia nelle idee universali, abbassando la guardia e diminuendo l'avvertenza della loro diversità, che ha affiancato senza mai mischiarvisi, culture e civiltà, all'interno delle quali i contribuiti dei cittadini di origine ebraica sono stati spesso innovativi e rivoluzionari. Anche oggi che la civiltà declina, le voci dissonanti sono ricoperte, le prospettive individuate in un imbuto, gli opportunisti e gli aspiranti tali portati al culmine dell'attenzione, la povertà di spirito è scambiata per realismo, in un'altra versione dell'oblio che accompagna il succedersi delle generazioni e nel contesto del quale bisogna solo contare sulla fortunata coincidenza delle circostanze, che impedisca il contatto fra gli immutati, ancorché sconosciuti antagonismi immaginifici.

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