lunedì 27 gennaio 2014

La trama e le definizioni del regime.

Non si può dire che lo facciano quatti quatti, sotto traccia, perché il processo è in atto da almeno trent'anni, da quando il referendum di Mario Segni, discendente di un presidente golpista che un provvidenziale ictus tolse di mezzo ( guarda caso discendente di e prorietario terriero ), creò le condizioni più propizie ad una rappresentanza succube e cointeressata a un mercantilismo che, dopo la caduta del comunismo, diventerà anarchia finanziaria, mentre i tentativi di forzare e capovolgere la Costituzione e riportarla a regole classiste e dirigistiche, si scontrano con un'affannosa eppur pervicace resistenza, al di fuori degli apparati politici e sindacali, entrambi nominati, ad onta delle apparenze di un'elezione. esattamente come le cariche istituzionali, a loro volta assegnate con i criteri di nomina di un Consiglio di amministrazione. Se il ventennale berlusconismo è stato inibito, ma non sovvertito, ciò è avvenuto perché la veste modernizzatrice, corporativa, sintonica con gli apparati europei ed internazionali, doveva essere, almeno nelle aspirazioni, assunta dalla spuria pseudosinistra italiana. Tanto è vero che, con fiorentino spirito machiavellico, il segretario-sindaco Matteo Renzi ha stretto un pactum sceleris, l'ennesimo, con il Cavalere resuscitato, in una larga intesa, utile a far fuori le brancaleonesche ed intempestive formazioni clientelari di destra e di sinistra. Questo, per quanto riguarda la rappresentanza politica, nella quale il rottamatore giovane e quello giovanile, stanno per rendere superflua la speculare funzione interpretata da Napolitano. La rottamazione generazionale, quindi, ha solo lo scoperto scopo di impossessarsi delle leve del potere e, con esso, dell'arricchimento personale, rimuovendone gli occupanti. E sul piano sociale? Beh, dei contorcimenti sindacali di pari periodo si sono accorti tutti gli osservatori e, soprattutto, i lavoratori, abbandonati ad ogni sorta di arbitrio e speculativa pressione, alle quali, speculativamente, si sono essi stessi acconciati, sbagliandone, infine, tempi e reiterazione. Ciò nonostante, pur decimati nella rappresentanza e ridotti a crescenti formazioni di pensionati nostalgici, i sindacati, i loro vertici, non hanno smesso di tessere la sotto trama della prossima, ovviamente "nuova", rappresentanza di se stessi. Il 10 gennaio, infatti, la Trimurti, o ciò che ne resta, ha sottoscritto un accordo sulla rappresentanza sindacale, che contraddice decenni di prassi e le sentenze di merito della Corte costituzionale, secondo le quali non si può subordinare la facoltà di libera scelta della propria rappresentanza, nè quella di esercitare le funzioni sindacali, alla previa sottoscrizione di un accordo con la controparte. Era questo il nocciolo del corporativismo durante il fascismo, durante, cioè, un regime. Perché è ovvio che, in questo caso, sarà quest'ultima, la controparte datoriale, a decidere chi ammettere e chi escludere dalla rappresentanza del lavoro. Chi ha esperienza di vicende industriali sa che non c'è peggior ubbia per un padrone, di un sindacato indipendente, supportato dai suoi associati, forte e presente in azienda. Ebbene, dopo i conati del Luglio 2013 in FIAT, il 10 Gennaio, chi aveva subito, con gesto usuale, calato le brache e chi, fino ad allora si era rifiutato di farlo, hanno sottoscritto un tale accordo giugulatorio, subordinando la facoltà di proporsi per la rappresentanza, cioè addirittura, di presentarsi alle elezioni, solo a coloro che quell'intesa avranno preventivamente sottoscritto. Dal momento che gli estensori di quel testo confindustriale sono stati gli amanuensi della stentata Trimurti, in questo modo si pongono nell'irregolarità corporativa, quei soggetti sindacali che non vorranno aderirvi, emarginandoli e criminalizzandoli di fatto. La bozza di riforma della riforma elettorale, la solita controriforma di cattolica tradizione, assegna un 15% di premio a chi consegua il 35% in sede di scrutinio; gli viene attribuita cioè quella quota che potrebbe portare ad una decorosa rappresentanza, espressa dal corpo elettorale, ma senza voce nelle istituzioni. Se non si tratta di dirigismo e di autoritarismo, in piena sintonia con il comportamento uniforme del Tribunato della plebe, provate a spiegarmelo."Riforma" elettorale e "riforma" della rappresentanza servono, in sincrono, a conservare il sistema di potere, a normalizzare il dissenso e ad impedire qualsiasi alternativa. Sono i panni dell'irresponsabilità, sotto l'imperio protettivo ( dei loro interessi ) degli enti sovranazionali guidati dai Paesi più ricchi e forti, un'esigua minoranza, come i ricchi e potenti privati di ciascuna nazione, internazionalmente collegati. Perché il progetto consegua i suoi fini, deve essere portata a termine la demolizione dei residui poteri pubblici e degli scarnificati diritti sociali. In questo contesto, la Banca d'Italia va all'asta e smette contestualmente di rappresentare la più importante istituzione finanziaria pubblica e CGIL, CISL e UIL, insieme a Confindustria si accordano su un sistema di rappresentanza che dovrà essere, in primis, obbediente; intanto, la FIAT va fiscalmente in Gran Bretagna, implementa la sua quotazione a Wall Street. Grottesco? No, italiano. Così, mentre la povertà si estende e si stabilizza, si definiscono sistemi che perpetuano quanto iniziato e sviluppato da trent'anni a questa parte, con lo scopo accessorio di escludere chi non è d'accordo. Il tutto in un tripudio di tromboni del cambiamento epocale, ovviamente positivo e agognato. Da chi? Come già attestato da Esopo nella novella del lupo e dell'agnello, l'acqua può andare all'insù. Chi sta sotto può essere impunemente definito "conservatore".

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