sabato 4 gennaio 2014

Natura e cultura. il disagio della civiltà.

Quando si trasfondono i concetti e le finezze del diritto nella realtà, questa si riprende la supremazia e contraddice le astrazioni della dottrina. Il cliché modificato continua ad essere interpretato secondo il nuovo copione e, dopo le analisi sociologiche che le prime scoperte sollecitano, tutto continua ad andare come è sempre andato. E una ragione, che esuli dalle formalità e dalle pretese moraleggianti, c'è senza dubbio e riguarda la protocultura e, prima ancora, l'istintualità. Nella democratica Bologna, nella quale la tutela dell'uguaglianza di genere si è spostata sul piano dei principi - su scala nazionale, delle leggi - dopo essere stata vissuta, fianco a fianco in tante vite lavorative, e resistenziali, dando luogo a schiette prassi relazionali e non a rivendicative pretese. La (in)degnità morale, causa di espulsioni nei anni protozoici di quel sindacato di autentica matrice operaia e popolare, che è stato ed è ancora ( per quanto? ) la CGIL, ha trovato le sue più nette e prevedibili sconfessioni. Ci ha pensato, infatti, la CGIL stessa, con uno di quegli inutili e stucchevoli questionari con i quali i sindacati vorrebbero mostrare un'attenzione agli aspetti collaterali della loro attività - dopo aver abbandonato, salario, orario e igiene o averli fortemente ridimensionati, a "buscar camorra", cioè a cercar contesa fra "valori" e realtà. Nello specifico, la CGIL voleva informarsi direttamente sul capitolo delle "condizioni di lavoro" delle autiste della Tper, selezionate ed assunte secondo il bilancino antiesclusione delle quote rosa. Quote o non quote, la pretesa che le lavoratrici siano trattate come monache sacralizzate dai superiori, con i quali spesso intrattengono delle relazioni e dai colleghi maschi, ha conosciuto le più patenti contraddizioni rispetto a tutte le indotte e, per forza di cose, ipocrite ambizioni dell'uniformità ideologica del politicamente corretto. Le autiste, infatti, in percentuale altissima, sono oggetto, non solo di battute e allusioni, ma di vere e reiterate profferte dei colleghi e degli ispettori dei "titoli di viaggio", a inizio, cambio e fine turno. Adesso, per un po', gli esegeti della CGIL impiegheranno il tempo lasciato libero dalle trattative, ormai rarefattesi per la chiusura degli stabilimenti, ad elaborare le risultanze, per ricondurle nel solito alveo moralistico ed istituzionale, di cui nessuno continuerà a tener conto. Voler avvicinare la paglia al fuoco e pretendere che sia ignifuga, è abbastanza bizzarro ed è ridicolo volerne limitare gli effetti solo al mondo del lavoro, secondo canoni di austerità istituzionale, difformi dalla spontaneità popolare e mentre il lavoro va rarefacendosi proprio nelle sue forme stabili, "monogamiche", all'interno delle quali le cornificazioni erano comunque superbe. Le economie liberali, più che liberare le donne, ne hanno sottoposte molte, che non ne avrebbero coltivato nessuna attitudine, a una sorta di doppio lavoro che non ne ha spento la vitalità, o la rivalsa su matrimoni spenti, ma ne ha anzi sinergizzato le opportunità, in un ambito temporale e seduttivo, più concentrato. Culturalmente, la CGIL, ma non solo, mentre rivendica e pratica la piena libertà "affettiva", ne censura, in forme inedite, le ricadute implicite, rispetto ai tempi in cui le masse popolari avevano una sensibilità uniforma circa i doveri di una buona madre, di una sposa fedele e degli "oltraggi" che l'incontinenza maschile poteva arrecarle e compromettere la stabilità sociale e la coesione fa "compagni". Anche in Irlanda del Nord, il I.R.A. controllava e "scoraggiava" la facilità di relazione con le mogli degli affiliati, per non disperdere energia pugnace in contese fra cornuti. Ed è solo un esempio. Leggo, a margine di una notizia sul Caporalmaggiore Parolisi, condannato per l'omicidio della coniuge severa, rampolla di altra dinastia militare, di cui aveva interiorizzato, sul versante femminile, i rigidi principi comportamentali, che, nella caserma nella quale fungeva da addestratore di reclute-donne, per assecondare una volontà o meno di trasferimento o favorire una vita più confortevole all'interno del fortilizio, si faceva confortare e come lui tutti gli altri istruttori, dalle istruende, senza che queste ne avvertissero una "deminutio" nelle loro facoltà guerriere. Come in un'azienda, in una corsetteria, ecc. Intendiamoci: in quanto precede, in taluni casi, evidentemente, in altri meno, sono presenti elementi di coercizione e di abuso di posizione dominante e, su di essi, sono già in corso indagini, anzi, ci sono specifiche denunce. Resta però ancora valido il vecchio adagio per il quale "tira di più un pelo di fica che una pariglia di buoi". Volere o volare, mi sembra irrefutabilmente confermato.

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