mercoledì 22 gennaio 2014

Nello stesso mondo.

Sono migliaia i bolognesi che hanno ricordato il concittadino onorario Claudio Abbado, i cui resti si dissolveranno nel fuoco purificatore, come si addice a un esteta musicale. Sono tanti, ma infinitamente meno che per Lucio Dalla, buon musicista e nulla più. Pur librandosi nel vento ed essendo amata anche dal popolo - oggi molto meno che due generazioni or sono, quando chi non aveva cultura conosceva però i refrains delle opere più importanti, i loro personaggi e sapeva valutare le qualità di un tenore o di una soprano, subissandoli di fischi se erano al di sotto delle loro aspettative, coltivate ripetutamente attraverso l'ascolto -, l'affetto per l'interprete, non la sua venerazione, è retaggio di anime più raffinate ed aduse alla meditazione: solo loro possono ammirare l'applicazione e la ritrosia, senza scambiarle per superbia. Abbado ha amato i poveri portando loro la sua solidarietà spirituale e materiale, senza risparmiarsi e non si può omaggiarlo nel ricordo senza condivisione. Nel frattempo, anzi in costanza di festeggiamenti per le ricorrenze di fine e inizio d'anno, un assessore troppo entusiasta ha sbrindellato una tela pittorica del 1700, nel salone delle feste del suo Comune, con il tappo dello spumante. Ebbro d'alcool e di spari non ha curato la traiettoria e c'è da rallegrarsi che non abbia "cavato il solito occhio a qualcuno" come in altre consimili circostanze è avvenuto. Pochi mesi fa, sette tele di Picasso, Matisse, Manet, Gauguin e Lucien Freud, rubate da tre rumeni nel Museo di Rotterdam, sono state bruciate dall'apprensiva madre dei tre pargoli captivi, che credeva di distruggere, col corpo del reato, le prove a carico dei figli. Ha quindi dissotterrato le tele dal cimitero nel quale erano state occultate, le ha chiuse insieme in un sacco e, in un unico falò, le ha sacrificate. Panta rei, ma nella distinzione fra cacofonie e sublimanti accordi.

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