lunedì 6 gennaio 2014

Nel vasto pelago, in cerca di occasioni.

La FIAT va in america, sarà la nuova Chrysler ad incorporare ciò che resta del Lingotto, dopo la chiusura degli stabilimenti meridionali e lo spostamento della produzione dei modelli di piccola cilindrata in Serbia. Sposta le sue basi strategiche. Non sono più possibili, in Italia, le sinergie politiche ed economiche, per le quali "quello che va bene per la FIAT, va bene anche per l'Italia" come affermava Gianni Agnelli. Ha comperato il pacchetto di controllo della Chrysler, ammontante al 41,5% del capitale sociale ( anche la FIAT italiana è detenuta dai discendenti di ramo femminile degli Agnelli, gli Elkann, con una quota molto inferiore di possesso azionario, all'interno di una galassia societaria che controllano attraverso incroci diffusi con altre loro aziende del Gruppo ). L'acquisto è stato concordato e sottoscritto, al prezzo necessario alla UAW - United Automobile Workers - per ripianare il debito accumulato dal fondo VEBA, che detiene e che elargisce le pensioni agli ex dipendenti della Chrysler. E' il sindacato che verrà anche in Europa? Nella sola Italia, per la ristrettezza del mercato, non sarebbe possibile. Oltre alla crisi di vendite, in parte dovute alla mancata innovazione dei modelli e, soprattutto, per il venir meno dei finanziamenti per gli impianti al Sud e per la Cassa integrazione perenne, ha trovato un'occasione negli Stati Uniti, nel savataggio, voluto da Obama, di uno storico marchio automobilistico. L'operazione industriale era secondaria rispetto alla volontà ed anche alla necessità di spostare il baricentro delle proprie attività in un contesto da major factory, che l'Italia non era in grado di assicurare, nel contesto fluido della globalizzazione. E' chiaro che, d'ora innanzi, il focus produttivo, distributivo, ideativo e di marketing, si sposta a Detroit. Da lì potrà anche irradiarsi e competere sui mercati asiatici, dai quali la FIAT è assente. Per non perdere le buone abitudini, la FIAT ha ottenuto ogni sorta di iniziali, ma prolungati negli anni, benefici e facilitazioni fiscali, così rare sul suolo nord americano ( allo scadere, potrà andarsene in cerca di approdi più confortevoli, così come sta facendo in Italia ). Ha concordato un modus operandi molto flessibile e produttivistico con lo stesso sindacato che ha curato la vendita dell'azienda in crisi e, come accennato, ha cominciato a chiudere gli stabilimenti meridionali in Italia, insieme a quelli russi e polacchi, ( in Polonia ne ha aperto subito un altro, a condizioni più favorevoli ) aperti durante la Prima repubblica, con i buoni uffici dell'ex P.C.I. Solo per produrre la Panda, ha scelto, per i 300$ di salario mensile degli operai, la Serbia , povera dopo i bombardamenti della N.A.T.O. La Camusso è sembrata patetica e impotente quando ha affermato che la FIAT avrebbe dovuto ricordare ( ma in che termini avrebbe dovuto mostrare la sua riconoscenza? )i prezzi pagati dalla sue maestranze cassintegrate e licenziate, per potersi consentire l'approdo al "nuovo mondo". Come se nella politica della Fabbrica Italiana Automobili Torino, la bilancia dei costi-benbefici potesse ancora contemplare le metodiche della vecchia economia industriale post bellica che i sindacati si sono illusi di accompagnare nel suo parto isterico, facendo scempio delle facoltà dei lavoratori, per assicurare, prima di tutto, il loro ruolo declinante e la loro influenza, acconciandosi anche ad assumere una veste di supplenza che ne ha compromesso la considerazione. Chi ha avuto, ha avuto; chi ha dato, ha dato. Il do ut des è finito. E' tempo di scambi minuti e non duraturi.

Nessun commento:

Posta un commento

Sono graditi i tuoi commenti