martedì 14 gennaio 2014

Mancanze.

Da quando Silvio Berlusconi ha abbandonato il proscenio della politica, vale a dire due anni or sono, quando avallò il golpe bianco di Napolitano, Unione europea e Monti, la politica è diventata noiosissima e campo di coltivazione, non innovativa, per tanti grigi uomini d'apparato e terra sterile d'invasione di profeti parolai. Berlusconi era avvertito come un non politico, anzi un antipolitico nella misura in cui favoriva smaccatamente gli interessi del sette per cento più ricco della popolazione, ma si faceva apprezzare per l'immagine non convenzionale, tranne che all'interno del suo ceto sociale, anche dalle casalinghe e dagli impiegati, eterni imitatori. Adesso che siamo tornati alle trame intestine, all'inutilità sostanziale della nostra diplomazia, al ruolo strumentale, in tutti i sensi, sullo scacchiere delle alleanze, con i nostri valorosi soldati allettati soltanto da uno stipendio insperato, senza il mattatore della commedia all'italiana, senza l'allegro buffone, con le sue gaffes, le sue bugie elette a sistema di rappresentazione, con le sue Lolite e le sue mogli o aspiranti tali, serissime solo nel mangiargli per traverso, la classe politica si misura nuovamente sulle invidie, sulle risse per accaparrarsi qualche lucroso strapuntino, su proposte di legge-riempitive-sostitutive demenziali, sugli sproloqui più infondati su cui ci si potesse esercitare. Ognuno per il proprio tornaconto, come Berlusconi stesso, ma su misure più consone all'elettorato popolare e piccolo borghese, di nuovo rancoroso perché privato dei suoi retorici e mitologici riferimenti, o Berlusconi che dir si voglia.

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