venerdì 16 maggio 2014

Promesse senza premesse.

Il dibattito pubblico in Italia e sull'Italia non è mai stato così vacuo e sconclusionato come oggi, dato che le deleghe inespresse sono state conferite ad una burocrazia aliena che, quando rallenta la sua frequenza d'intervento, lascia i vaniloqui a se stessi, alla loro perdita di senso. Intanto, il ripiegamento della società verso il particolare personale sta assumendo aspetti spiraliformi. Del grande dibattito civile, interrottosi, senza che ne fosse avvertita, per inerzia la mancanza, dai primi anni '80, si sono trascinate le ombre, dato che, per l'improvvisa mancanza di interlocutori, qualsiasi forma di confronto è stata cassata. Si è consumata la decimazione di una classe politica provinciale, involuta e corrotta, si è dato libero sfogo alle velleità imprenditoriali di qualsiasi capo-officina, si sono finanziate tutte le imprese più strampalate, per trarre da ognuna di esse cospicue mazzette personali ed ambientali. Il moralismo inane si alimentava di questa realtà, a tutti nota fin nei dettagli e da tutti trascurata, fino a che, con il venir meno degli equilibri polemici su cui su reggeva, una magistratura di rito ambrosiano, decise di scavare sotto la superficie di una banale mazzetta che il percettore non era riuscito a distruggere nel cesso. Lo ha fatto, lo ha dovuto fare, con un metodo intimidatorio e ricattatorio, che si è servito a tappeto della carcerazione preventiva per stimolare le confessioni risentite degli incarcerati che il sistema per il quale avevano lavorato, non era più in grado di trar fuori dai guai. Il revanscismo giudiziario non si è arenato, nonostante le secche verso le quali il ventennio berlusconiano ha cercato di condurlo e che, per ora, la sinistra finanziaria non è riuscita a condurre a più miti consigli, neanche con la minaccia di decurtazione delle lautissime prebende di cui i giudici beneficiano. La corruzione non è una eccezione patologica ad una vita civile ed economica seria, è invece il modus vivendi dell'economia, della politica e della publica amministrazione, a cui si accompagna un'evasione fiscale che, se recuperata, consentirebbe di creare un nuovo stato sociale per una nazione di nuova istituzione. Enrico Berlinguer, di cui decorrono, in questi giorni, i trent'anni dalla morte, predicava per l'Italia la questione morale e aveva ragione nel ravvisarvi la fonte principale della debolezza nazionale, della prepotenza delle classi clientelari. Non condividevo la sua concezione anacoretica dell'austerità come cifra di vita immutabile delle persone. Onestà, serietà e gusto del vivere non sono in contraddizione; attengono alla qualità delle persone e Berlinguer sapeva di dover portare in alto una massa amplissima di uomini e donne che al suo partito si riferivano, quasi esclusivamente per rivalsa economica. Ma, nonostante questo, l'imponenza dei suoi funerali ed il rispetto degli avversari sono stati un riconoscimento, purtroppo solo personale, della via maestra per non essere quello che purtroppo siamo stati e siamo in un mutato contesto, per noi del tutto regressivo.

Nessun commento:

Posta un commento

Sono graditi i tuoi commenti