venerdì 1 maggio 2015

Fashion Job's Act.

Al netto dello sbilancio fra nuove assunzioni e cessazione di quelle in atto, dopo il Job's act, qualche migliaio di rapporti a tutele crescenti, cioè attualmente privi di tutele, sono sorti. Peccato che le entrate abbiano sostituito le uscite, ridimensionando i salari dei lavoratori ansiosi di stipendio e, inconsapevolmente, di asservimento. Il gioco è coordinato ed equilibrato numericamente, ma la spesa per i salari è rimasta invariata, pur considerando il maggior numero degli stipendiati. Il trucco, quindi, consiste nella licenziabilità. Senza retorica, ma con stretta attinenza ai fatti, si deve constatare che è venuto meno il patto sociale costituzionale, sul quale, con pigrizie e (pochi) abusi e solo nel settore statale e, tanta, tantissima corruzione, si era retta la crescita portentosa di un Paese che, nel 1945, faceva parte delle nazioni povere, con una sperequazione fra i redditi nel centro norde e un incistamento della rendita che sono rimasti immoti nella parte meridionale dell'Italia. Dallo sviluppo si erano generate normali, elementari norme di diritto del lavoro che adesso sono sovvertite, ma lo stesso contratto sociale, su cui si basa la moralità di un popolo è ormai profondamente intaccato, credo purtroppo irreparabilmente. Chi conosce la realtà quotidiana di Paesi che vanno per la maggiore, sa di che cosa parlo. Il patto di cittadinanza democratica implicava che ciascuno fosse libero dallo sfruttamento sul lavoro, che dovrebbe essere promozione individuale e sociale. Non sono abbarbigliato da nessun pregiudizio ideologico o politico: mi sembra chiaro che siamo caduti in balia di un riaffermato sistema di connivenze e corruzione, di consenzienti servi della gleba. L'unica, precaria maniera, di aspirare ad una prospettiva che duri quanto un mutuo edilizio. Chi dovrebbe rimettere in carreggiata il convoglio? Un partito qualsiasi che, ad ogni cambio di nome ha estirpato - se le aveva - le sue radici ( che forse si snono rammollite in un humus modificato ) pur di continuare, sia pur marcio, a galleggiare in parlamento? Possono farlo gli Italiani isolati e senza potere contrattuale, espropriati di regole categoriali e soggetti a leggi-capestro, che hanno realizzato la lenta rivincita dei poteri dominanti sull'emancipazione progressiva dell'Italia dagli anni Settanta? Toccherà a loro, in ogni caso. Dagli anni Ottanta vennero in auge espressioni e sub-culture del "disimpegno, riflusso, rampantismo". Avevano il solo socpo di archiviare il processo di crescita e di emancipazione del decennio precedente. La ricchezza e il successo divenivano "a portata di mano" e qualcuno, inconsapevolmente protetto da un quadro normativo, si culla ancora su quegli slogans e su quelle propagandate illusioni. L'erosione si è consumata nei decenni, dal 1980 in poi, ma ha conosciuto le sue formalizzazioni, i suoi testi, dapprima nel 1995 con il "pacchetto Treu", ministro del Lavoro nel Governo Dini ( il primo, seppur eletto, di una schiera di usurpatori e di voltagabbana ). Quando il"pacchetto" diventò legge, Treu era ancora ministro del Lavoro, ma il Capo del Governo era Prodi. La favola della flessibilità è ( non era la prima volta ) spacciata come incremento dell'ocupazione ed è il trionfo dei contratti interinali, nonostante una legge vigente, la 1369 del 1960 li vietasse per i contratti continuativi e stabili. Fu il piede fi porco per rimuoverla, senza abrogarla. Una pacchia per le imprese speculatitrici e per le agenzie che presero a smerciare i lavoratori, realizzando lauti profitti. Venne poi la legge Biagi che aprì la strada al precariato strutturale. Il frutto del "Libro bianco", stilato e varato in combutta di alleanze trasversali, diviene la legge 30 del 14 Febbraio 2003. Con i contratti a progetto, il tempo indeterminato è ormai un miraggio, ma la favola del lavoro flessibile ( interinale ) continua e il sacrificio delle tutele dei lavoratori al mercato, anche. La precarizzazione crescente e ininterrotta del lavoro non conosce più freni né soste, favorisce solo le imprese che anche con i contratti di formazione e di stage lucrano sui lavoratori attraverso la riduzione dei costi del lavoro. Con il Job's Act viene conseguito lo scalpo dello Statuto dei diritti dei lavoratori; la guerra trentennale del padronato importante è giunta ad ottenere la resa. Ecco servito da un Renzuccio qualunque il cadavere dello Statuto, una delle leggi cardine del Novecento italiano. Non ci era riuscito Berlusconi, che era un Presidente eletto e quindi soggetto alla dialettica democratica: la decapitazione inizia con il bi-nominato Monti, il cui intento delittuoso è portato a compimento da Renzi. Il non senso avanza: libero lavoro in libero licenziamento. Per adesso è così, ma la vita continua.

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