martedì 12 maggio 2015

A chi serve la competizione e la guerra.

La guerra serve a chi fabbrica le armi, cioè, intendeva dire il pampa-Papa, nella versione anticapitalistica e guevarista del Vangelo, al capitale senza confini e senza creanza che imperversa per il mondo. In questo, la pensa come Putin, di cui fu alleato all'epoca della crisi siriana, quando sembrava che il pavido Obama stesse per cedere alle richieste dei guerrafondai. Il Papa lo ha detto, a mo' di catechesi ai bambini di un'associazione per la pace che era venuta in visita da lui, ha scoperto l'accqua calda ma ha avuto la franchezza di affermarlo. Il comunismo è stato sconfitto, ma la bulimia bellica non ha conosciuto crisi, perché ha dovuto accompagnare, correggere e sedare ogni disallineamento dal verbo unico. Anche la Russia è uscita dalla sua crisi di sistema riscoprendo la sua vocazione di grande potenza e riarmandosi massicciamente. Putin certamente rimpiange le terre irredente ai suoi confini, speso afferma che in due giorni le rioccuperebbe, ma intanto riarma la grande madre Russia, ne celebra i fasti sovietici e, meritoriamente, anti nazisti, in competizione con l'altra grande democrazia, ma mercantile, degli Stati Uniti. Oggi, il lucro dei mercanti d'armi si focalizza sull'occidente, sulle sue trame, sui conflitti locali che provoca o che sponsorizza, sulle massicce forniture ai Governi militari alleati, sul rifornimento ai combattenti sul campo, mentre gli estrattori di petrolio continuano a lavorare, riparati da truppe fedeli, al business. I contractors sono presenti in ogni area del mondo dove sia in corso una guerra; le truppe ucraine arancioni sono rifornite di armi che non sanno usare, mentre i Russi sfoderano la loro riassestata industria bellica, in maniera regionalmente soverchiante. Israele continua a modificare le armi che acquista dagli Stati Uniti, dalla Francia e da altri Governi, tramite intermediari, con le quali annichilisce gli eserciti delle potenze arabe o compie veri e propri crimini di guerra contro le popolazioni palestinesi, ghettizzate a Gaza, che hanno il torto, non solo di proteggere Hamas, ma anche di eleggerla al Governo di un'entità palestinese che nel piccolo alveare rivierasco, ma interdetto a qualsiasi traffico, organizza la sua resistenza politica ma anche militare, attraverso un rifornimento di armi che qualcuno o qualcosa dovrà pur pagare, come l'imponente apparato bellico di israele. All'Expo di Milano, il padiglione israeliano celebra il popolo che ha coltivato il deserto, proponendo un paragone implicito con i palestinesi che non ci hanno mai provato. A parte il costume popolare dei nativi della Palestina, che non li stimolava a rigogliose "invenzioni" per attrezzare un apparato civile e militare di tipo parlamentar-capitalistico, i Palestinesi non hanno mai avuto i soldi per provarci e dubito che le risorse economiche siano state create in loco dagli Israeliani con i kibbutz. Fra scoppi e crepitii, orfani e mutilati, il lucro si alimenta del sangue, come, in ambito civile, del sudore e del debito.

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