mercoledì 16 luglio 2014

Orizzonti diversi.

Antonio Conte, lascia al Juventus dopo tanti anni di militanza calcistica e tre di gestione tecnica, caratterizzati solo da successi nazionali. La sua intenzione di lasciare una realtà domestica per un'esperienza internazionale, senza farsi irretire nel servaggio della bandiera, ha trovato il suo epilogo. Quali che siano gli esiti di questo atto, Conte ha compiuto un gesto in linea prospettica con i tempi. Il vecchio capitalismo familiare non si attaglia più neppure alle squadre di pallone, tradisce un'insistenza provinciale e delle possibilità, più o meno ampie, ma più limitate di quelle che il grande circo finanziario può offrire all'intrattenimento. L'esperienza delle società inglesi, in mano agli emiri, agli oligarchi russi ed ai fondi statunitensi, ha trovato un epigono anche in Italia, con ottimi risultati iniziali e ampie disponibilità finanziarie per poterli conseguire. Roma docet. I costi del Barnum calcistico sono ormai fuori dalla reltà sostenibile, anche le famiglie più ricche, come i Moratti, hanno dovuto gettare la spugna, solo l'investimento temporaneo e speculativamente strumentale ad altri interessi può alimentare una macchina tanto vorace da scoraggiare ormai le imprese di buon senso. Conte questo lo ha intuito e non si è legato al carro di velleità che, prina o poi, dovranno cedere il passo al busines opportunistico e "diversamente truccato", come gli incontri di pugilato negli Stati Uniti. Tanti appassionati, ma nessun vero spirito di appartenenza. Chi indugia su presupposti superati, in questo mondo - fosse anche l'imprenditore, ma non credo - ha già mancato il "suo" obiettivo.

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