martedì 22 luglio 2014

Cammini paralleli.

Cento anni fa, pochi giorni or sono, cominciava la cosiddetta Prima guerra mondiale, caratterizzata dai nazionalismi più aristocratici e meschini, per i quali la carne da macello dei rispettivi popoli era solo la massa d'urto delle ambizioni triplici o multiple, ereditate direttamente dall'Ottocento. Le Case regnanti, gli Imperatori da operetta, congiuravano gli uni contro gli altri come se la contesa riguardasse interessi privati. Qualche anima studentesca, priva di coinvolgimento nella scadente prosaicità della vita, meditava e metteva in atto attentati che servivano a questa o quell'altra delle fazioni in lotta all'interno dei medesimi governi a far pendere l'ago della bilancia dalla loro parte. Il popolo dei bruti e di una larvale piccola borghesia stracciona, era stato affrancato o si era trovato privo della sua feudale tutela guelfa o del suo primitivo ma tradizionale costume ed aveva assunto il ruolo, non richiesto, di strumento retorico della Massonerie, che per lui si sarebbe tradotto in stenti e morte, talvolta per dissenteria, mancate cure ai prigionieri e fatica. Mio nonno materno fu costretto sulle dolomiti in una quadriennale guerra di trincea, dalla quale tornò, senza mai parlare di quegli eventi e conservando il suo carattere mite. Lo stesso atteggiamento di mio padre, che si fece tutta la seconda. La Prima guerra mondiale fu la prima semplifcazione moderna e l'effetto delle formazioni statali e imperiali della seconda metà del secolo precedente e si basò sul sacrificio delle masse-truppe, anziché sulla temuta ( anche dalla Chiesa ) crescita culturale. Quel periodo storico mi risulta fra i più fastidiosi ed estranei, caratterizzato dall'azione sotterranea di conventicole chiuse in se stesse, di alamari, divise e crinoline, a cui faceva da contraltare la divisa sporca e lacera dei soldati, impegnati in interminabili marce, che trovavano ristoro solo nel fango di una trincea. Fra gli stupidi effetti di quella guerra di posizione, vi fu quello dell'annessione del Sud Tirolo, ridenominato Alto Adige, che fra quattro anni sarà "italiano" da un secolo, ma non festeggerà la ricorrenza ed è sempre rimasto separato ed autonomo, sia in termini economici e fiscali sia in quelli scolastici e formativi. Cento anni frutto dell'usurpazione del potere temporale dei papi, che vi fondavano la loro politica, da parte, appunto, dei massoni di Casa Savoia, a cominciare dal Re, agente, quindi, all'interno di un potere non manifesto e sovranazionale. Dalla prima guerra mondiale, sostanzialmente pareggiata per il contributo della Germania guglielmina, della quale stiamo osservando una riedizione, ma spacciata per vittoria, tornarono i sopravvissuti ai loro modesti lavori e fra di loro, attecchì facilmente l'irredentismo e la frustrata ansia di rivalsa che costituì la base del fascismo, mentre l'insipienza di una dinastia retoricamente vincente, si mostrò in tutta la sua estraneità e vigliaccheria, ponendosi al servizio, per essere mantenuta al potere, del grossolano fenomeno del fascismo, sponsorizzato dagli agrari, ai primi passi della finanziarizzazione della loro rendita, da una parte degli industriali e da tanta militanza plebea. Una retorica non dissimile, pur in assenza di un D'Annunzio, ma altrettanto nazional-popolare, in tanti ambiti della vita sociale, ci affligge, incontrastata, ancor oggi, rinascente dalle macerie della democrazia parziale, goduta dopo la seconda guerra mondiale, fino agli anni '90.

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