mercoledì 23 luglio 2014

La mummia del rinnovamento.

Continua, al destruendo Senato della Repubblica, l'illustrazione di novecentoventi emendamenti, presentati al testo che vorrebbe sancire il taglio della Camera alta e la fine infausta del Senatuspopolusqueromanus. Sull'abbrivio di una corruzione galoppante, Mario Segni riuscì a portare a compimento quel golpe istituzionale che a suo padre non riuscì: propose e ripropose il referendum sulla semplificazione del sistema politico, riuscendo, in seconda battuta, a inaugurare il sistema maggioritario, che solo nel '53 Togliatti aveva definito "legge truffa" e che non passò per il voto popolare. Non si tratta, da parte dell'esecutore testamentario della democrazia post resistenziale, che fu possibile solo per la formidabile presenza del partito comunista, di un taglio ai costi, bensì di un ridimensionamento della democrazia, che rimette in auge quelle realtà messe in ombra, ma non rimosse, durante la prima repubblica. Hanno provveduto poi i giudici, a smantellare l'accrocchio dei partiti di governo, sull'onda dell'accantonamento del comunismo: furono cassati il Partito socialista, la Democrazia cristiana, mentre l'ex PCI ri trasformava in una "gioiosa macchina da guerra" senza capo né coda, simile, invece, al trattore travisato da carro armato dei "Serenissimi" veneti. Praticamente senza avversari, furono riportati all'opposizione da Forza Italia, neonata. La destra revanchista, intrisa di fascisti, si riproponeva e l'Italia "nata dalla Resistenza" conosceva la sua rimozione storica. Ora è un grullo giulivo a tentare l'involuzione civile in un'Italia stremata dai fallimenti e dalla restrizione del reddito, assorbito, per quel che residua dalla massiccia esportazione di capitali in forzieri sicuri, da uno Stato indebitato fino alle orecchie, capace di infierire solo sulla previdenza, dopo aver favorito la fuga di centinaia di migliaia di cinquantenni e consentito ritiri con diciannove, ma anche quindici anni, sei mesi e un giorno di attività. Le leggi non sono state rimosse, ma abbandonate per desuetudine; il lavoro è trattato esattamente come un secolo fa, le piccole aziende applicano regole costrittive ed arbitrarie, alle quali subordinano, anche sul piano comportamentale e dell'immagine, la corresponsione, il miraggio, di pochi denari. Da parte del governicchio di Matteo Renzi si obietta che le istituzioni che si vanno configuarndo, non hanno nulla di autoritario ed è vero. Si confonde volutamente, in questa guisa, il codice delle leggi che non sono liberticide - anzi si va liberalizzando, in sostituzione, tutto quello che non costa niente - con i costumi e le prassi che denegano ogni libertà e dignità, il proprio libero arbitrio e capacità critica, che discriminano fra cittadini ricchi e non, fra i potenti a qualsiasi titolo e chi si trova in condizione di bisogno. La trascuratezza culturale - a parte élites minimali e movimenti neo-populisti, tanto vocianti quanto particolaristici, incapaci cioè di coagularsi in un'opposizione comune - completa il quadro e lascia gli Italiani, un'altra volta in mezzo al guado che credevano, con faciloneria, di aver superato. O si fa così, o si va a votare. E se il risultato del voto non fosse quello semiplebiscitario delle europee? Bisognerebbe imbalsamare Napolitano, come Lenin sulla Piazza rossa, al culto delle Camere dimidiate e del nominato di turno.

Nessun commento:

Posta un commento

Sono graditi i tuoi commenti