martedì 26 luglio 2016

Vite patologiche.

Il 60% dei profughi presenta dei problemi mentali, né potrebbe essere altrimenti dopo traumi da eradicazione, violenze sistematiche alle quali sono sopravvissuti, traversate terrorizzanti, a pelo d'acqua su gommoni strapieni o carrette, inserimento artificiale in realtà estranee ed ostili, senza contare la relegazione e lo sfruttamento in nero, per tacer di peggio. Medici senza frontiere ne dichiara l'incurabilità, per assenza di sensibilità al problema e di medicine adatte a tamponare la situazione. E' un aspetto patologico scontato, date le circostanze, di cui nessuno vuole prendere atto, salvo attribuire ogni sorta di patologia agli attentatori occasionali. Sarebbe possibile che, diversamente, qualcuno abdicasse allo spirito di conservazione, se non fosse invasato da un mito o semplicemente dalla disperazione, come un suicida qualunque? A cosa valgono, di fronte all'alterazione mentale, gli inviti all'accoglienza ed all'inserimento, se non come medicina precedente e propedeutica alla migrazione, mentre risulta impraticabile nei fatti e irrecuperabile quando i danni sono stati prodotti e subiti. Che c'entra, quando non ci mette del suo, la società d'accoglienza che risulta pur priva di qualsiasi capacità interpretativa, come, per altro, i rifugiati? Le eccezioni sono voci che gridano nel deserto. Lo stato miserevole dei profughi, ma anche, per altri versi, degli autoctoni esula da qualsiasi convenzionalità che non sia pietistica ed inutile: chi ne ha bisogno può ristorarsi con un pasto caldo e rinfrancarsi con una doccia, ma poi la sua decontestualizzazione, in un mabiente di lavoro o in un centro d'accoglienza, rimane tale e quale e si involve in malattia mentale quanto più il tempo passa, spesso in un ambiente uniformemente tarato dall'assurdità della medesima condizione. Una persona non può accontentarsi del puro sostentamento, ha bisogno di gratificazioni e di compagnia, di gioia e di ottimismo. se la sua vita, salvata dall'estinzione, non gli riserva, per compensazione, nient'altro, il senso di menomazione e di ingiustizia soggettiva, insieme ad un ultimo disperato desiderio di rivalsa, si fanno strada giorno per giorno, soprattutto nelle persone sole ed in quelle alle soglie dell'esistenza e suonano vacue le sollecitazioni ad osservare che , nelle loro terre d'origine, non avrebbero avuto neppur salva la vita, perché non è questo l'Eden sperato, da cui il precipitare nella morte, dove l'Eden non esiste. Le soluzioni politiche hanno sempre lo scopo di governare un fenomeno e, se possibile, di trarne profitto; gli esodati da guerre e conseguenze delle medesime, se dotati di un piccolo nucleo di riferimento, della famiglia ad esempio, si adattano, soffrono, ma hanno uno scopo da perseguire, anche se sono i loro figli a non stare precocemente al gioco, sopraffatti dall'ansia da stress, ma tutti gli altri, soli, impazziscono nell'abbandono e nella mancanza di riferimenti, vittime spesso delle mafie etniche e della complicità, purchè non si dia luogo a disordini, dell'ambiente e della polizia locale. Infatti, la soluzione politica è, come sempre, una presa in giro e della solidarietà ambientale è meglio fare un bel fiocchetto per impacchettare la retorica buonista. La patologia della vita non è solo da estraniamento e mitologiche rivalse, sembra strana solo perché importata.

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