giovedì 14 luglio 2016

Morire in clausura, come un monaco di un grande ordine conventuale.

Bernardo Provenzano l'ultimo o il penultimo boss dei boss, il Negus Neghesti dalla mafia siciliana, è morto all'ospedale a Milano, in una delle camere riservate ai detenuti. In particolare, la sua, era soggetta al 41bis, anche se il meschino era completamente scimunito dopo un trauma cranico riportato dopo una caduta nel carcere di massima sicurezza di Parma, dove è ancora rinchiuso Totò Riina. Infatti, in precedenza, era rimasto a lungo ricoverato presso il locale nosocomio ed era poi stato trasportato a Milano. Eppure, per evitare dicerie circa sensazioni extrasensoriali o forse più concretamente per evitare incontri fra mafiosi nei corridoi, se non nella stanza del malato - che è stato ricoverato per anni - la sua famiglia ha appreso della sua morte a cose avvenute, a cose fatte. Se adesso sarà ammessa al cospetto del feretro e se potrà accompagnarlo, cadrà la mia prima ipotesi. Allora, come avranno fatto le cosche e le famiglie a continuare ad agire, localmente ed internazionalmente, senza le direttive del boss? Lasciarlo dialogare con i suoi picciotti, quando ancora disponeva della favella, avrebbe alterato le strategie investigative degli inquirenti? O si temeva che gli inquirenti non fossero tali solo in senso investigativo? Fu infatti con Riina e poi con Provenzano che questo Stato ancora borbonico al sud, con forti rappresentanze a Roma, trattò, negò, ricusò e impose l'omertà. Le dichiarazioni della sindachessa del suo paese suonano retoriche, come la sua partecipazione, ancora così comune nelle contrade del sud, ad una festa commemorativa di una delle tante madonne votive che passeggiano per i borghi, si inchinano umilmente davanti alle case dei boss, navigano sulle acque e tornano indietro come i migranti. Provenzano era la morte, era un cancro: sono contenta che sia morto, moriuto o qualcosa di analogo, con somma consolazione di quei malati terminali che si sentono spesso accostati alle più ributtanti malattie antropomorfizzate. Anche Salvatore Borsellino, ha preconizzato uno spaventoso giudizio di dio, al cospetto,del quale Provenzano si troverebbe senza avvocati ed ha insinuato che non sia caduto per caso e che, nonostante fosse scimunito avrebbe potuto rivelare qualcosa che adesso torna ascoso. La sorella di Borsellino, Rita, ha evitato di dar giudizi sul morto - ma chi glieli ha chiesti? - ha evocato il suo sentimento cattolico, che non la ha dispensata dal sentire come giusta la reiterata decisione di tenerlo isolato dal mondo fino alla morte ( anche se non capiva più una minchia? ), dicendosi certa che i giudici preposti avranno impiegato tutta la forza delle loro meningi per validare le loro decisioni. Mi torna alla mente quanto disse a Bologna l'autista di Giovanni Falcone, sopravvissuto all'attentato e reduce da quindici interventi chirurgici, quando, invitato meritoriamente ad una rappresentazione tenutasi presso il teatro dell'Arena del Sole, affermò che la sua testimonianza era sempre stata messa da parte e che invece si erano impossessati delle icone dei caduti togati, parenti in precedenza estranei ed anche in contrasto con i fratelli, soggiungendo, a prescindere da questo, di non avere nessuna fiducia nella burocrazia giudiziaria italiana, essendo stato partecipe di tante narrazioni e testimonianze, anche durante i viaggi di trasferimento dei magistrati ed avendo respirato il clima della Sicilia, dei suoi palazzi di giustizia e non solo. A me sembra che Provenzano se ne sia andato secondo l'iniziatico segreto - così simile a quello massonico che, come quello della confessione cattolica e, forse, ancor di più, non viene mai investigato, che non si rivela in nessuna circostanza, anche la più afflittiva, salvo che il regime di clausura non serva proprio a non fargliene venire la tentazione, non tanto in forma di pentimento, ma di messaggio trasversale anche al mondo grigio delle istituzioni, altrimenti ed in abiti ben più eleganti, frequentate direttamente o per interposti onorevoli, dal potere atavico, moderno solo nelle forme ed ancora borbonico nei rapporti reali, di cui la mafia incolta e assassina non è altro che il braccio armato, in un connubio vicario,non esclusivo del sud, con i vari "vo'scienza e vossignoria".

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