domenica 3 luglio 2016

Le geremiadi e qualche puntualizzazione di contesto.

Il Bangladesh ha una solo vera ricchezza, la iuta, il cotone ed una conseguente tradizione manufatturiera, che fanno di questo Paese un enorme cantiere tessile. Ed è in Bangladesh che in tempi recenti sono sbarcate le multinazionali del tessile che hanno scelto la delocalizzazione in paesi che lavorano in conto terzi: salari minimi, materia prima di buona qualità a prezzi bassi, scarsa capacità sindacale, governi col pugno duro quando si rivendica un diritto. Ci sono un nome, un luogo e una data che raccontano bene questa storia: Rana Plaza a Dacca, il 24 aprile del 2013. Un edificio commerciale di otto piani, figlio di abusi speculativi locali, crolla a Savar, un sub-distretto della capitale. Il bilancio è gravissimo e le operazioni di soccorso richiedono quasi un mese e si concludono il 13 maggio con un bilancio di oltre mille vittime e oltre duemila feriti, molti dei quali ormai menomati e inabili al lavoro. Al confronto, quella di ieri è una piccola mattanza, dato che per me le persone e i morti sono tuuti uguali. E' stato un atto criminale voluto? Anche lo sfacelo del formicaio tessile. Quello che è considerato il più grave incidente mortale avvenuto in una fabbrica tessile e anche il più letale cedimento strutturale della Storia contemporanea, scoperchia anche le responsabilità di marchi europei, americani, italiani. Scoperchia il tema della sicurezza, dei diritti, dell'irresponsabilità garantita, dei risarcimenti illusori per intere famiglie che, appena conseguito un salario sono ributtate sul lastrico. Nel Rana Plaza avevano i loro laboratori fabbrichette locali che lavoravano per grandi marchi internazionali. Loro a fare il lavoro sporco, gli altri a esibire t-shirt a basso prezzo con la griffe. Se non ci fossero state campagne internazionali di attenzione (in Italia la Ong «Abiti puliti»), se non si fosse mosso l’Ufficio internazionale del lavoro dell’Onu, la storia si sarebbe dimenticata in fretta. E, in queste ore, pochi la mettono in relazione alla strage di poche ore fa nella capitale. Ma il pretesto all'alimento "rivendicativo" religioso, alla competizione fra Al Qaeda e l'Isis, in un contesto di disperazione sfruttata, è stato fornito anche, fra altri, da questa violenza speculativa.

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