mercoledì 23 aprile 2014

Passaggio agli atti.

Il prossimo 25 Aprile sarà il primo di carattere storico. Di quell'esperienza sopravvivono pochi testimoni, che vengono sballottati ad ogni commemorazione, pubblica o scolastica. Ma ormai quel breve periodo storico, una delle tante parentesi nella storia incongrua di un Paese giovane e già gravato da tanti acciacchi ereditati, è chiuso, senza che se ne sia aperto un'altro basato su convenienze condivise. Anche Mussolini e il fascismo sono stati un evento transeunte e circoscritto della vicenda nazionale e, prima o poi, sarà trattato di conseguenza. L'Italia non è più una Repubblica democratica fondata sul lavoro, è un deserto di disoccupazione, sfruttamento e precarietà; la sovranità non appartiene più al popolo che non è chiamato ad esercitarla nelle forme previste, anzi: ci se ne guarda bene. Ci siamo inoltrati in un evo di mezzo giullaresco e volgare, nel quale il diritto cede spesso il passo alle prassi più incivili. La Repubblica italiana sarà nata, un dì, dalla Resistenza, ma si è subito ripiegata su se stessa, per influenze esterne, atlantiche e vaticane ed errori prudenziali di dirigenti comunisti, tanto raffinati quanto scolastici e ubbidienti alle direttive della Casa madre, dopo la spartizione per aree territoriali, intervenuta a Jalta, in quella stessa Crimea, oggi oggetto di analoghe, improprie, appropriazioni. Il fascismo, il comunismo, il clericalismo, sono state le interessate espressioni della mancanza di equilibrio della società nazionale, il borbonismo, la vandeana reminiscenza di un potere post-feudale, dapprima ricco e poi saccheggiato per l'industrializzazione del nord, senza che i potentati locali, le antiche nobiltà parassitarie e i loro bracci armati, mafiosi e camorristici, ne risentissero, ne venissero intaccati. Tutti e tre elementi di prepotenza, autoritarismo, totalitarismo. I lasciti del liberalismo agrario, dell'elettorato attivo e passivo censitario, dell'analfabetismo, che ne la Chiesa, ne i possidenti agrari avevano interesse a contrastare, disegnava un mosaico di povertà diffusissima, di fede estorta, di gerarchie clientelari, di passionali e strumentalizzabili conati sociali, in cui si sarebbero tradotte le componenti spurie del fascismo, anche popolare, del sanfedismo a ristabilire un tradizionale, ma in via di superamento, assetto di privilegio, la prima organizzazione seria del popolo lavoratore, democratica suo malgrado perché impossibilitata ad andare al governo dal diniego nord americano, che, per parte sua, dettava i caratteri, mercantili ed estranei, alla nuova colonia. Oggi, di tutto questo, restano solo i cascami: l'occasionalità del lavoro, la volgarità dei padroni, l'incultura crescente, la vanesia frenesia di riempitivi, a forma di video, portatili. E' tornata anche l'eterna sudditanza agli Stati e ai poteri forti, secondo la ciclica analisi di Giovan Battista Vico, circa l'eterna e circolare riproposizione degli eventi. In forme leggermente mutate, dirà poi qualcuno. Anche se fosse vero, non contemplerebbe necessariamente un progresso.

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