sabato 26 aprile 2014

Parvenze.

Pare che il Primo Maggio sarà ancora celebrato, alla memoria. Da anni, molti anni, si era trasformato in quella baracconata del concertone romano, nel quale, artisti lautamente pagati, intrattenevano i lavoratori in libera uscita. Fra qualche giorno si ricorderà il tempo del lavoro che fu, della sua fatica e delle lotte che erano riuscite a conferire una dignità rivendicabile ai lavoratori e il senso della precarietà era solo relativo alle conquiste, sulle quali vigilare e nella prospettiva di rafforzarle. Chissà se Matteo Renzi, con una tuta da fonderia in via di chiusura, sarà su qualche palco e parlarci del suo jobs act, che riesce a precarizzare le possibilità di lavoro oltre il limite dell'immaginazione. Come se lo sciupìo di risorse e di intelligenze non fosse bastato all'avida aspirazione accumulatoria dei padroni e gli se ne dovesse fornire ancora. Quanto della mortificazione del lavoro è riscontrabile in termini macro-economici? Tanto quanto se ne riscontrerà dopo la prossima infornata di norme giugulatorie per i prestatori d'opera. Verrà elminata la causale sui contratti a tempo determinato, la possibilità di prorogarli ed il superamento di fatto o annacquamento dell'obbligo di stabilizzazione per gli apprendisti. Si continua a sostenere che questi provvedimenti in fotocopia, con note a margine peggiorative, faranno aumentare l'occupazione. In quale film? Le repliche, da grottesche si sono trasformate in drammatiche. Che gliene frega ai beneficiari di tanto disperso e disordinato lavoro? Una beata sega, come è sempre stato. Dicesse questo, in una rivisitazione dei Vitelloni di Federico Fellini, fiorintenizzando la pernacchia del suo maestro, Alberto Sordi, il grullo mi strapperebbe un sorriso. Chissà se si parlerà elogiativamente, dal palco, di "precarietà espansiva", come la ha "ammaccaronata" un ministro del Governo, non eletto, ma in carica? In un recentissimo passato, era stata elaborata la dottrina della "austerità espansiva"; l'espansione sarebbe sorta dal risanamento dei bilanci, che avrebbero ripristinato la fiducia dei e nei mercati e che, di conseguenza ( ma quale? ) avrebbe prodotto l'incremento dell'occupazione. La cosiddetta austerità, come è scontato, ha solo depresso l'economia insieme alla capacità di spesa di individui e famiglie e non ha risanato i conti. Infatti, per dimezzare il deficit di bilancio, l'Italia, ad esempio, dovrà mantenere la politica della lesina per i prossimi vent'anni. La vita austera: chissà come sarebbe piaciuta al Santo dell'ex P.C.I., Enrico Berlinguer; peccato che non possa veder realizzato il suo sogno. I posti di lavoro, casomai, potrebbero essere creati - ma non è un obbligo - sulla base di una rigida precarizzazione dei medesimi, ma solo in una fase di espansione economica consolidata, dopo la macellazione, cioè, della forza lavoro attualmente disponibile, che non è neppur scontato che verrebbe reclutata in patria, anziché nelle zone più depresse economicamente del globo. Fra queste ci potremmo essere anche noi. Speriamo, quindi, fiduciosi. Anche perché, permanendo la precarietà, le aziende potrebbero facilmente disfarsi dell'ipotetica occupazione creata ai loro fini di lucro. Quanto alle ricadute sociali, morali e criminologiche..non è affare dei privati. E questa è anche la loro concezione dello Stato. Restando al dato econometrico, la parabola, tutta ipotetica e scolastica, data dalla creazione e dalla distruzione dei posti di lavoro, darebbe un risultato complessivo nullo. Ma qualche residuo di utile accantonato resterebbe certamente nelle more degli eventi "allogeni". Rimanendo invece idealmente sul nostro palco del Primo di Maggio, potremmo coniare una espressione più adatta al nostro tempo: si intensificherà lo sfruttamento del lavoro. E' un fenomeno che si è accentuato, in Italia, negli ultimi vent'anni, durante i quali abbiamo assitito - hanno assistito, complici, i sindacati - allo smantellamento progressivo del diritto del lavoro. I primi interventi demolitori ci furono allorquando il "pacchetto Treu" - Ministro di espressione cislina ( della CISL, che ritroveremo in ogni altro momento ad accompagnare la deriva lavorativa e lavoristica ) determinò una caduta molto accentuata dell'indice di protezione dei lavoratori, che fu annientata con il Libro bianco, trasformato poi in legge, di Marco Biagi. Il jobs act di Matteo Renzi non è altro che un "sequel" del medesimo film, che i Governi che si sono succeduti, prima eletti e poi neppure, in questi tempi di regresso, hanno ininterrottamente mandato in onda, con risultati irrilevanti sul terreno dell'occupazione, perchè facevano finta di ignorare i sentimenti dei capitalisti e si nascondevano dietro le onde ellittiche dei diagrammi, che gli uomini non conoscono. Semplicemente, la creazione di lavoro dipende principalmente dall'orientamento espansivo o restrittivo delle politiche economiche, in rapporto alle quali, coloro che sono in grado di approfittarne, contraggono o dilatano la loro fiducia, riposta in fondo..ma proprio in fondo, in fondo, digestivamente. Vale dunque per il Primo Maggio, quanto sostenuto concettualmente per il XXV Aprile: ripudiamo le fede stantia nel rito e ritorniamo a rivendicare il diritto ad un lavoro libero, dignitoso e il meglio retribuito possibile; i tempi sarebbero maturi per quell'unità dei lavoratori invocata da Carl Marx all'epoca delle condizioni indistinte di sfruttamento dell'industria nascente, dell'accumulazione originaria. Allora mancava l'informazione diffusa e un'istruzione minima comune, oggi divergono le condizioni delle classi lavoratrici delle diverse nazioni e, con esse, le possibili solidarietà. Ancora una volta, il cammino sarà disordinato, impervio, sulle modalità del sistema asociale e asolidale del capitalismo, per di più finanziario, imperante, ma altre possibilità, che non siano illusorie, consolatorie e mistificatorie, nell'ecosistema economico, non esistono.

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