domenica 7 giugno 2015

L'assedio.

Valdimir Vadimirovic Putin ha rilasciato il 27 Maggio scorso, un'intervista redatta secondo lo stile burocratico dei regimi autocratici, al Corriere della Sera, interfaccia della cosiddetta grande borghesia italiana e, soprattutto, delle lobby affaristiche più intersecate di questo brutto Paese. Vladimir di tutte le Russie si era fatto preparare in anticipo le domande, nelle quali i più arditi riferimenti all'attualità richiamavano le "Tribune politiche" di Jader Jacobelli della televisione in bianco e nero. Servili e larvatamente puntigliose. Putin, che qualche buon rapporto con l'imprenditoria nazionale deve pur averlo, anche esulando da Berlusconi, si chiede come mai tutti gli accorpamenti, anche i meno riusciti, in ambito commerciale e centro-europeo, siano salutati da commenti entusiastici, ben al di là della loro logicità mentre invece i suoi tentativi di creare una federazione euro-asiatica, di stringere rapporti finanziari ed energetici con India, Cina, Brasile, siano considerati sintomo di ostilità. Siamo o non siamo tutti liberi - si chiede - o lo siamo solo nell'ambito e nei limiti di un sistema che, se non è accettato, si cerca di imporre. Vladimir è sottilmente ironico. Per corollario, soggiunge, da tempo ci si accusa di essere aggressivi nonostante tutti i sintomi in contrario da cui dobbiamo difenderci. In che cosa consiste la nostra aggresività se gli americani hanno alla fonda, nel porto di Oslo diversi sommergibili nucleari i cui missili possono raggiungere Mosca in diciassette minuti? Siamo aggressivi ai confini? Perché allora ci sfruguliate in tutti quei Paesucoli, che furono nostri vassalli, e che sono disposti a vendersi per un'illusione? Sostiene che il deposto Presidente filo-russo voleva interrogare con un referendum la popolazione sul futuro dell'allora primo partner commerciale della Russia e che americani, tedeschi e nazisti autoctoni deposero con una rivolta partita da avanzi di galera messi in libertà dal regime della carcerata Yulia Tymoshenko che l'ha guidata da dietro le sbarre. Per mettere in crisi una Russia poco democratica per difendersi dalle ingerenze "totalitarie" di un Occidente in fregola monopolistica, da quando Vladimir ha preso il potere ed ha impresso una linea autonoma alla sua politica, i tentativi di destabilizzarlo e di circondarlo di potenziucole rivali non ha conosciuto tregua. E gli oppositori, la libera stampa? Qui Vladimir, che era stato efficace fin ora, vacilla ma non perde l'aplomb: gli oppositori non hanno argomenti che coinvolgano, altrimenti sarebbero più seguiti. Nessuno gli impedisce di esporre le loro tesi. E' che non attaccano. Il direttore del Corsera glissa sui cinque morti ammazzati fra le file di un'opposizione che Putin disegna come di nicchia e, insinua, venduta all'estero, ma estranea ai pensieri ed alla sensibilità dei Russi. Ma, lei, infine, non si "tutela" con troppo "amore"? In questi frangenti è necessario: guardate la fine che hanno fatto ( parla al plurale ) certi vostri politici di vertice, aggrediti dalle campagne di stampa. E' l'unico riferimento a Berlusconi, o amplia il raggio, sul piano storico, alla fine della Prima Repubblica, prima dell'intervento della magistratura, ma solo quando fu politicamente esercitabile? Virginio Merola è stato sconfessato dal suo partito. Lui si richiama all'apparato - che ormai non conta più niente, come il caso Cofferati in Liguria dimostra - e resiste immobile. Ha già preso impegni per il suo secondo mandato, ma il suo multiforme partito, tanto diverso da quello da cui proviene, non si fida, in termini elettorali, di lui. I sondaggi, l'astensionismo alle "regionali", quello previsto e che altro? Beghe interne di un partito passato dal monolitismo alle più contraddittorie rappresentazioni? Interessi di bottega e correntizi? oppure, come sarebbe normale, politica poco apprezzata? Sta di fatto che il Virginio medita di affidarsi ad una lista civica e di correre come indipendente, dopo essere stato il prodotto della dipendenza più osservante. Camaleontismi di un uomo senza principi, in un ambiente che dei principi fa uno stendardo e, privatamente, uno strofinaccio. Non bisogna scandalizzarsene, ma prenderne atto. Su chi punterebbe il PD al suo posto. Sul Rettore uscente dell'Università di Bologna, quel Carneade Dionigi di cui si sono apprezzate finora le sottili qualità di latinista, che, a sua volta, rivelerebbe le connessioni che corrono fra qualsiasi carica ricoperta nell'Alma Mater Studiorum e il dosaggio interpartitico, o meglio, nell'alternanza fra massoni, cattolici ed altri rappresentanti di interessi corposi e, solo in senso lato, culturali. Ma come spiegherebbero gli ex compagni ai militanti delle periiferie, agli operai dismessi delle fabbriche chiuse, la candidatura, stavolta tutt'altro che unitaria, di un latinista?

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