mercoledì 24 giugno 2015

I misteri italiani.

Il figlio del commissario Luigi Calabresi, ucciso a Milano, in seguito al suicidio dal balcone del suo ufficio del povero anarchico Pinelli, si stupiva, ieri,: non capisco. la sua mamma, Gemma, a sua volta trasecolava: non mi capacito. Si riferivano con la prudenza di chi deve dire qualcosa, ma non vuole incorrere in contraccolpi, alla nomina di Adriano Sofri a consulente per la cultura nelle carceri del Ministero di Grazia e Giustizia. Sofri ha infatti scontato, con laconica indifferenza, diversi anni di carcere in quanto indicato come mandante dell'omicidio del papà commissario, dal frittellaro Ignazio Marino, a suo tempo sodale del Sofri in Lotta continua. Mario Calabresi, il figlio, trasecolava dalle colonne della Stampa della FIAT di cui è direttore; non figlio d'arte, orfano di un modesto funzionario pubblico, ha fatto una carriera insolita per chi non appartiene alla corporazione dei giornalisti. Un free lance, di solito, deve accontentarsi di collaborazioni mal pagate o di un oscuro impiego in redazione. Ma lui, no. Il piccolo orfano - certamente per meriti accertabili - è stato veicolato fimo ai vertici di un prestigioso quotidiano, ma soprattutto house organ di un potentato internazionale. La sua mamma si è risposata, come di rado accade alle vedove con prole di umili origini, ma non ha mai smesso di essere, all'occasione, la vedova del commissario. Lui, il bieco mandante, già curatore della biblioteca del suo carcere, ha subito rinunciato all'incarico, definendo "fesserie" quanto stava montando intorno a lui. Della vicenda che lo ha coinvolto ha scritto alcuni anni fa un testo, edito da Sellerio, nel quale si immerge astrattamente negli eventi rievocati, lasciandoli nel limbo, senza confessioni implicite, senza contraccuse e senza indicazioni. Non ho la minima idea se Adriano Sofri sia colpevole o innocente: sta di fatto che, condannato in primo grado, non fece una piega, non confessò mai, non ricorse e si fece la sua prigione senza battere ciglio, con sdegno aristocratico e distanza culturale. Nessuna ammissione, nessuna scusa, nessun pentimento, nessuna richiesta di clemenza. Era stato denunciato dall'invidia accidiosa di un poveretto, tornato dopo le glorie guerrigliere al suo lavoro di ambulante. Pinelli era stato dimenticato, sua moglie non si era risposata ed i suoi figli non so che lavoro facciano. Gli sarebbe andata grassa se fossero stati presi in ferrovia, ma non so se sia stato possibile con il padre "suicida". Invece, ai martiri delle istituzioni - indipendentemente dal fatto non accertato che Pinelli si sia involato o sia stato gettato di sotto, una mano benefica e certamente legata al potere, ha procurato nuova vita e inaspettati allori, imprevedibili quando la famiglia viveva in un caseggiato popolare alla periferia di Milano, davanti al quale il commissario fu ucciso. Adriano Sofri, del tutto assente, al di fuori dai lavorii sentimentali e dalle carriere risarcitorie, continua a coltivare i suoi studi nella sua villetta appartata. Come se niente fosse mai stato.

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