venerdì 11 novembre 2016

Ogni cosa a suo tempo, nuova solo per chi non è vissuto a lungo.

Le manifestazioni anti Trump, negli Stati Uniti, mi riportano alla memoria le manifestazioni contro la guerra del Vietnam. Meno imponenti, senza la partecipazione di cantanti già famosi, ma pur espressione di un disagio a rivedere ai vertici esecutivi della nazione, un uomo che sta già preordinandosi la squadra, con alcuni dei più bei campioni della reazione, scaturiti dalle file repubblicane in questi decenni e rimasti ai margini della contesa presidenziale, prorpio perché, come Trump, troppo caratterizzati, ma privi delle sue ingenti risorse economiche, le uniche che assicurano un'autonomia reale da tutto e da tutti, perché non sono il frutto di socialità interessata, che, quando esiste..ed esiste, è tutta rivolta a vellicare il traino dei finanziatori e a riferirsi ai suoi desiderata. L'identificazione della ricchezza che conferisce benessere e potere, sia pur vicario, ha sedotto più della dialettica democratico-finanziaria ed ha portato la maggioranza delle elettrici e molti elettori a sposare il progetto di "rinascita" americana. C'è però un vasto mondo, minore quanto a risorse, ma ricco di cultura, che si sente già oppresso dal moralismo repressivo della squadra in formazione e rivendica, non tanto o non solo, una politica dissipatamente espansiva, quanto il rispetto, avvertito a rischio, delle libere deliberazioni e dei costumi più vari ed individuali, che sotto le amministrazioni democratiche sono meno invasi. Trump è berlusconiano anche nel dire e nel disdire subito dopo: dopo gli insulti personali alla Clinton: "donnaccia, brutta serpe", ecc, ne ha riconosciuto la tenacia, dopo gli insulti al Papa, durante la campagna elettorale, perché lo aveva, di fatto, scomunicato, è passato all'ammirazione e via dicendo. O è una tecnica incredibilemnte vincente o è corretto precipitosamente dal suo staff. Intanto, il Papa emigrante, che conosce la devastazione morale oltreché materiale dei "barrios" argentini, continua la sua pastorale per i poveri, li identifica con Cristo che, anche per questo, dovette conoscere il Golgota: oggi, a differenza di mercoledì scorso, il suo linguaggio non è stato sociologicamente marxista, ma strettamente evangelico. Ha solo soggiunto che, all'ineluttabilità della povertà, non deve aggiungersi la perdita della dignità, come avviene invece sistematicamente, in ogni contesto economico e come è attestato in ogni esperienza storica. Pone, cioè, Cristo e il cristianesimo "autentico" a contributo - ma per lui, a fondamento - della dignità delle persone umane, un elemento che non si conosce, che non si sa di possedere, fino a che non viene contraddetto. Solo allora ci si accorge della sua esistenza. Ma se il suo ambito, sarà un "Regno", non è e non sarà - per il "peccato originale", che potrebbe essere anche l'animalità, ancestrale, ma ben attiva, dell'uomo - di questo mondo. Dopo otto anni, il Presidente nero lascia tre aborti di riforma al successore, che della loro revoca ha fatto il progetto dei suoi primi cento giorni. Il progresso, nella sua formulazione concettuale, non è un "continuum" ininterrotto, ma una fase circoscritta, un'occasione che dovrebbe essere portata alle sue conseguenze ultime tutte in una volta, anche se si tratta della riforma sanitaria, che già Bill Clinton aveva accennato. Sarebbe più difficile cancellarla ed anche sovvertirla: gli approcci incerti, timorosi, sono destinati all'entropia. Più che una società liquida, quella che si configura con l'elezione di Donald Trump negli Stati Uniti, sembra una società disorganica, ripiegata su ciascuna delle sue fortificazioni precarie, in un mondo senza coesione, neppure oppositiva. Ecco che le irrazionalità "religiose" marcano le specificità archetipiche; in questo senso il cristianesimo di Francesco è più moderno ed offre una base spirituale alla sopportazione. Ma verrà, inevitabilmente, anche ed ancora il tempo della ribellione.

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