domenica 6 novembre 2016

La politica minima.

In ogni circostanza e situazione della vita si recitano litanie retoriche o si possono fotografare in maniera semplice e diretta le cose come stanno, come si appalesano, gli effetti incontrovertibili di un fatto. Nella vita sociale, nella ritualità convenzionale, che non è solo esterna alla famiglia, tutt'alto, o alla cerchia degli amici e delle coppie, fra uomo e donna, prevale, contraddittoriamente, una maniera standard di rapportarsi; un'autentica gabbia psicologica, estranea ai fatti, alla realtà. Si tratta di una rimozione ipocrita, di un adattamento, per i più forniti di strumenti critici, di una convinzione, per molti, di una "necessità" per quasi tutti. Così, fin dalla più tenera infanzia, ciascuno si abitua ad adattare la realtà alle convenzioni del suo ambiente sociale, pur rendendosi perfettamente conto che si tratta di mascherature. L'autoproposizione "al meglio" dei riferimenti obbligati di un ceto, un livello culturale, di una mentalità alla Rambo, si fa sovrastruttura di quanto trapela solamente, da un gesto, una reazione incontrollata, da una battuta, da un silenzio, senza conoscere il momento dell'opposizione, del tentativo di esprimere la propria autonomia: infatti, non si è più autonomi. Ti rendi allora conto che la sovrastruttura ha sostituito, subornandola, la coscienza ed intacca, censurandolo, inibendolo, negandolo, il libero arbitrio, possibilmente suffragato da contenuti dialettici. Per questo ci felicitiamo alle nascite, fra di noi, ci condogliamo alle morti, come abbiamo fatto cerimonialmente, ridancianamente o lamentosamente in reciprocità d'esistenza, celebrandone, escluso il protagonista, le modalità all'inizio, all'atto della nascita e fissandone, il ricordo, per molti veramente l'ultimo, durante l'ultima convenzione. E così via, lungo le fasi ricorrenti, sempre uguali, di generazione in generazione, degli obiettivi, dei traguardi attesi, pietre miliari che costituiranno la riaffermazione confortante del consueto, diverso per ambiente, condizione economica e culturale, da non confondersi con attestati per le professioni. Ma ecco che il gioco comincia a svolgersi secondo regole non conosciute, all'insegna dell'improvvisazione e le rassicurazioni contrabbandate e credute, in base ad un empirismo statico, ingannevoli. Qualcuno trama, non è allineato, modifica i percorsi; chi era chiuso da gerarchie dinastiche, anche intrafamiliari, rovescia gli equilibri, mette in difficoltà chi appariva dominante: continuerà a recitare, ma disporrà di più battute, di maggiori occasioni illusionistiche. Dal potere discende l'autorità, quasi mai la responsabilità, l'autonomia del lavoro ben fatto, delle competenze accertate, sfuma, scolora nella piaggeria, elemento predominante della "carriera". Chi, di rado, è inossidabile al teatrino delle vanità opportunistiche sollecitate, ha vita grama e marginale all'interno del sistema, ma non per questo si rinuncia a cercarne l'uso più meschinamente speculativo, non solo a favore del modello, ma anche dei propri, individuali, angusti spazi.

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