venerdì 28 ottobre 2016

L'inaccesibilità spirituale della vita, purché sia libera da qualsivoglia dogmatica.

Bologna, a macchia di leopardo, digrada. La città che, a metà degli anni '70 "era in Scandinavia", secondo Il Corriere di Piero Ottone, sconta la retorica di allora in una controretorica, altrettanto di maniera. La decadenza morale va di pari passo con quella materiale, aggravata da un'immigrazione senza arte, né parte, ma le problematiche dei ghetti urbani sono le medesime che si riscontrano in ogni città moderna. Nelle realtà più povere, quelle del terzo mondo, la vita clanica è di gran lunga predominante, ma solo numericamente e riguardo alla superficie coperta; le classi ricche se ne stanno in una sorta di città proibita, protetta dalla polizia, che si rivela al loro esclusivo servizio. Bologna soffre - si dice - dello spaccio degli stupefacenti, ma, per chi ci è nato, è ben noto che la droga c'è sempre stata ed è stata ed è anche molto diffusa; si è fatta popolare, di massa, come dimostrano le analisi dell'aria e delle condotte idriche. Quindi, quello che perplime è lo spaccio stradale, quello per i poveracci e gli sconfitti, ad opera di un passaggio di consegna fra le varie stratificazioni della malavita: dà fastidio il colore della pelle o la etnicità tossicologica e il vandalismo dei senza dimora, in preda alla disperazione e alla stupefazione. L'equazione è semplice ed empirica: più immigrati, precarietà ed intermittenza delle occupazioni, vacuità culturale ed esistenziale, uguale rifugio nel delirio onirico, nelle sensazioni corrosive, ma inizialmente simulatrici dell'onnipotenza, quando la realtà è miserrima. Nei pressi della vecchia cittadella universitaria sono riprese le manifestazioni e le "autoriduzioni" alimentari e librarie, dopo due generazioni. L'opzione è ingenua, la sinistra autonominata, la rappresentanza extra-parlamentare, proprio come si chiamava allora. Si reclama il "diritto" di frequentare l'Università anche se provenienti da famiglie economicamente modeste: una volta si contestava un'istituzione semigratuita, oggi un diplomificio a puri fini di finanziamento, almeno nei numerosi corsi di laurea inventati, per le cui materie bastava allora un corso di informazione dopo la scuola dell'obbligo. L'imitazione è goffa: siamo lontani dalle Università dedicate e specializzate, frequentate in vista di obiettivi concreti e ben identificabili della Repubblica federale tedesca e a mezza strada rispetto alle scuole censitarie anglo-francesi. Ai tempi miei si discettava, col sociologismo degli stenterelli, sul parcheggio universitario dei tanti iscritti, senza numero chiuso. Oggi ci sono molti più iscritti di allora, nonostante le selezioni generaliste ( di cultura o nozionismo generali )pre-iscrizione, proprio per la proliferazione dei corsi di laurea triennali e magistrali, con tasse d'iscrizione e di frequenza, obbligatoria o via internet, diverse per facoltà, ma comunque salate. Economia e cultura, praticità e "filosofia", sono da sempre in contrasto. L'economia è la sintesi della vita dei poveri inglobati nel sistema, già produttivo ed ora finanziario, e dei ricchi che, senza alcuna solidarietà fra di loro, ma solo attraverso strategie comuni di mantenimento, scambio, infusione, maneggiano la stessa materia volgare. Sui margini, ci sono quelli che, per catatonia o per esclusione, per primitiva assenza di contenuti tecnici utilizzabili o trasmissibili sul campo, o superati da tecnologie autosufficienti, non sono mai stati in grado di partecipare al gioco. Nella fase attuale, nel mercato del lavoro, si stanno cambiando le carte in tavola anche per quanto riguarda le competenze acquisite, che un tempo morivano con il loro detentore e che invece, di questi tempi, vanno spegnendosi nelle secche del neocapitalismo monetaristico. Il lavoro, strumentale alla ricchezza, sta per diventare superfluo: le lobby ideologiche si preparano a cavalcare le situazioni. Lo spirito critico, sempre ritenuto inutile dal volgo e dall'inclita, latita ancora di più e si rifugia nelle ridotte delle non frequentate istituzioni culturali laiche. Per parte sua, la Chiesa cattolica continua nel lavoro di raccolta e conservazione, anche della cultura laica, attraverso l'Ordine dei Domenicani. A gestire la transizione troviamo figure alla Renzie o alla Hollande, cacicchi ignoranti ed imbelli di poteri sintetici e sbrigativi. Aumenta, come in ogni altro ambito di potere, la cooptazione omologatoria, ma non c'è nulla di evolutivo, tranne che nelle grida pubblicitarie, in questo: si tratta di convenzionalità ed anche questo è sintomatico della banalità del presente in itinere, del suo svuotamento contenutistico e della sua assimilazione all'ordinario. La cultura è negletta - lo è sempre stata - a favore di una rissa fra cafoni/e e resta praticabile solo nel raccoglimento, nella riservatezza, anche operosa. Marcello dell'Utri è uno studente della facoltà di Storia dell'Università di Bologna: ha sostenuto il suo primo esame in storia medievale e ha conseguito un 30/30, mancando la lode, solo perché lo stato di detenzione influisce sulla serenità e la concentrazione. La valutazione dei docenti, che si sono trasferiti a Rebibbia da Bologna per interrogarlo, è un attestato per la sua preparazione: ha citato infatti bibliografie che la facoltà aveva adottato anni prima, attingendo dalla sua conoscenza di bibliofilo, per la quale è anche imputato per sottrazione di volumi da antiche biblioteche. La cultura è libertà, dimensione inafferrabile e non costringibile, appannaggio di giusti e di malvagi, di simulatori e di paladini della verità. E' area franca nella quale rifugiarsi o fuggire, dove è possibile vivere una vita parallela, inaccessibile.

Nessun commento:

Posta un commento

Sono graditi i tuoi commenti