sabato 22 ottobre 2016

Declinazioni.

La campagna elettorale nord americana di quest'anno risulta particolarmente fastidiosa: Hillary Clinton ha faticato molto di più a sbarazzarsi di Bernie Sanders, durante le primarie, che a prevalere sul suo rustico avversario repubblicano, almeno nelle contumelie televisive. Che l'america conservatrice aspiri a ritirarsi, per un po', dall'agone mondiale, fa parte della sua genetica, ma la realtà fluida, dagli Stati Uniti stessi creata ed esportata, li costringe, subito dopo averla proposta elettoralmente, a rinnegarla e a trasformarla in pretesto bellicistico. Se i conservatori, dopo essersi accomodati un attimo, ripartono con impeto alla salvaguardia, anche remota, dei loro interessi acquisiti, statici, i democratici e la Clinton in particolare, muovono dialetticamente, sinergicamente, strumentalmente, a rimodellare a loro ( del capitalismo ) consumo le reazioni che in giro per il mondo si manifestano alla loro egemonia imperiale. Che gli Stati Uniti siano l'attuale potenza egemone nel mondo è incontestabile, come lo fu nell'antichità storica l'Impero romano, la cui pur grande estensione si limitava, per forza di cose e limiti tecnologici al bacino del Mediterraneo, ai Paesi iberici, alla Gallia e alle propaggini meridionali dell'Inghilterra. Ovunque, tranne che in Gran Bretagna, dove pure chiari elementi giuridici romani compaiono nel diritto consuetudinario adottato, lasciarono lingua, e principi giuridici. Né l'una, trasformatasi, né soprattutto l'altro, trasfuso intatto nei suoi fondamenti nella dottrina giuridica dei popoli colonizzati ( con grande liberalità circa i loro costumi e le loro credenze )sono morti: in termini culturali e anche linguistici tutto si modifica nelle forme espressive, ma lascia inaterata la sostanza o i principi. Sono una potenza in crisi contingente, gli Stati Uniti? Certamente si, ma non si tratta di una crisi mortale: sono indebitati fino al collo, ma evitano, per ora, di prendere di petto la grande potenza creditrice cinese, in grado di sopportare anche una decimazione atomica, ma anche di restituire il colpo. Se la prendono, dalla fine della guerra fredda, con i Paesi produttori di petrolio, perché ne utilizzano grandi quantità, pur avendo, sul loro territorio, giacimenti ingentissimi. Non gli bastano e "necessitano" dello spreco, come si addice ad una sotto-cultura basata sull'apparenza. Verrebbe da chiedersi, in termini antichi, tradizionali, se non sia un sintomo di gracilità imprevista, affidare le sorti della prima potenza mondiale ad una donna, già moglie di un altro Presidente, il cui conflitto di interessi familiare è evidente, ma trascurato. Di donne ai vertici ce ne sono e ce ne sono state parecchie, ma, fino ad ora, solo in Paesi nei quali rappresentavano famiglie feudali in competizione per il potere: l'India, Il Pakistan , Ceylon, Bangladesh, ecc., ma sarebbe la prima volta che il potere economico ( aggiustato a fini domestici ) e militare finirebbe in mano a una Fata Morgana statunitense, che sostituirebbe il marito, che risiederebbe alla Casa Bianca con lei, che si stabilirebbe, ogni mattina, nello Studio ovale. Ha anche detto che saprebbe come utilizzarlo: non ne dubito, ma potrebbe trattarsi di esperimento imprudente o di una ritorsione tardiva per le sue numerose infedeltà. Il potere della neo-Presidentessa, assommerebbe quello della Merkel e della May, in Inghilterra, infinitamente più deboli fuori dai propri confini. Chi, allora, in sua vece? Donald Trump è un ignorante, per sua stessa ammissione, ma lo è e lo era stato anche George W. Bush, buono solo a bombardare Saddam, completando l'opera, lasciata a metà, del padre, sostituito proprio da Bill Clinton. Gli Stati Uniti non godono di buona salute, anche se si tratta solo di una bronchite; i due candidati sono lì a dimostrarlo. L'una porterebbe la tossica dialettica finanziaria e l'intromissione politica a gradazioni molto alte; l'altro si concentrerebbe sulla rassicurazione dei privilegi ( che la prima non intaccherebbe ) e reagirebbe con elementare violenza ad ogni attacco efficace ad essi portato. Intanto, Matteo Renzie, di ritorno dagli Stati Uniti in cerca di un sostegno al "dove il Si suona" ( non gli è bastato quello dell'ambasciatore a Roma )si accorge che la delegazione italiana si è "astenuta" sull'espulsione culturale di Israele da Gerusalemme, si auto-allucina..e lì si ferma. I sionisti, che l'avevano fatta sollecitare da Obama, la trovano "coraggiosa", con ebraica ironia, mentre gli ebrei romani, invece, rilanciano e chiedono atti conseguenti. Conseguenti come la partecipazione alla forza di contrasto NATO in Lituania, dialogante con la Russia, come l'intervento "non combattente" in Libia, a recuperare feriti e dispersi, ma anche catturati, oltre le linee nemiche ( operazioni belliche al 100% ), si dichiara rigorosamente coerente con l'Europa, ma con il deficit di bilancio sforato per un po' di clienteliismo, insomma: come con il cambio di cavallo quando la seconda guerra mondiale era ormai perduta.

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