martedì 25 ottobre 2016

Andando per terre sconosciute.

Gorino è una frazione di Goro, nel ferrarese, che pochi conoscerebbero se non fosse stato il paese natale di Milva. A Goro approdai, venti, trenta anni fa, dopo una navigazione in mare su un guscio di noce, resa fastidiosissima dal sole del primo pomeriggio e dai parassiti pungitori lungo tutto il percorso. Navigav(am)o in mezzo ai bilanceri da pesca che costeggiavano tutto il canale, fra l'Adriatico e il Delta del Po e non avevamo scelto di sostare proprio lì: eravamo semplicemente stanchi e bisognosi di ristoro. Attraccammo sulla sponda erbosa, dove un vespone nero e giallo mi fece un'endovena sul braccio sinistro, proprio dove si appoggiano per prelevare il sangue. Ci inoltrammo lungo un pendio, su una sterrata e attraversammo una stradicciola, oltre la quale uomini e donne di altri tempi si intrattenevano a voce alta, seduti ai tavolini di una mescita non altrimenti definibile, Poco oltre cominciava il paese che, solo al centro, nella piazzetta, oltre ad una sede del Partito comunista d'Italia, ospitava un ristorante lindo, anomalo, presentabile, in un contesto rustico, atemporale, fuori dai circuiti esogeni. Poco discosto, distanziato da poche decine di metri di terra brulla, c'era Gorino; ne ricordo il cartello segnaletico, che segnalava solo agli indigeni e a qualche raro viandante o navigante, come noi. La reazione degli abitanti, stigmatizzata dal Ministro siculo degi interni, che ha citato due località della Trinacria, omettendo di ricordare il razzismo di Rosarno o delle Puglie, che sopportano gli immigrati solo durante la raccolta dei prodotti agricoli è stata di ripulsa e lo è stata perché la notizia dell'arrivo, che doveva aversi solo un'ora prima, per cogliere tutti di sorpresa, era trapelata il giorno avanti. Intendiamoci: gli episodi sono parenti..di secondo grado: nel primo caso si trattava di limitare l'uso e il luogo di utilizzo dei braccianti, in zone dove il senso di minorità e di trascuratezza è ben avvertito, nel secondo, di non diventare, aprendo una breccia, la discarica dei rifiuti umani in giro per i centri di accoglienza, laddove l'ambiente è chiuso in una staticità grezza che non è lambita neanche dal vicino turismo e dalle attività del capoluogo. Poco oltre il panorama naturalistico si fa bello, pittorico, ma spoglio, rarefatto; più che primordiale, è un punto di congiunzione faunistica, nel quale gli umani si sono adattati. Fino alla metà del '900, sui numerosi isolotti del comprensorio, venivano esiliati gli ergastolani, con obbligo di rimanervi "sine die", restituiti ad un primordiale regime alimentare contadino, autosufficiente. Qualcuno ci viveva con una donna. Non credo che queste terre smorte siano cambiate; in epoca feudale la "veneziana" Comacchio ospitava anche una sede arcivescovile, ma, quando, per investimento della cassa per il mezzogiorno e le zone depresse del centro-nord, le abitazioni civili furono dotate dei servizi igienici, dentro le "tazze" dei lavandini e dei bidé si coltivavano spezie o ortaggi d'uso quotidiano. In un contesto del genere, nel quale molti di noi farebebro fatica ad adattarsi, "sbolognare" dodici o più donne, di cui una incinta - e ti pareva nel nostro Paese dalle culle vuote - non era un'azione caritatevole, come la si è voluta spacciare, ma un deposito in una zona triste, già popolata da altri reclusi-esclusi, ignorati dalla civiltà meccanica ed ora informatica ( casomai i computer, per i video giochi sono presenti ). Il problema, a ben vedere, non sono i migranti da collocare, i sentimenti di cristiana pietà verso i musulmani ( le donne erano afgane ) ma la natura pre civile ( con tutte le recite sociali del caso ) degli insediamenti scelti per emarginare: come capitò di conoscere agli escursionisti in zone naturalistiche ed impervie degli Stati Uniti, in un film databile all'epoca della mia visita a Goro: "Un tranquillo week end di paura"

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