giovedì 2 giugno 2016

Le medicine dell'anima.

Si è tenuta presso il teatro degli Alemanni di Bologna una riduzione musicale de I Miserabili, con la regia di Francesca Calderara. La sua compagnia si è costituita alcuni anni fa, quando gli interpreti erano studenti secondari ed è proseguita, arricchendosi ed affinandosi, con gli stessi interpreti, che ora sono giovani laureati o studenti universitari in vista del traguardo. Alcuni di loro hanno trovato nell'espressione artistica e nel perfezionamento canoro una base nobile alla loro crescita e composita formazione, raggiungendo livelli di autentica eccellenza, tsetimoniati dall'applicazione che mettono nelle lunghe e faticose prove che precedono la messa in scena e nella gioia che tradiscono quando vengono loro rivolti i meritatissimi apprezzamenti del pubblico. La rappresentazione de I Miserabili di Victor Hugo, che si è svolta interamente in lingua inglese, ha conosciuto momenti di autentico godimento melomane, quando ad entrare in scena sono stati i più evoluti allievi del cenacolo teatrale, affiancati, senza farli sfigurare, da due tenori professionisti. Il mio grande nipote Pietro è stato un'appassionato ed impeccabile Jaen Valjean, nel primo atto e un sensibile ed impegnato Marius, nel secondo che conclude l'opera, secondo la semplificazione invalsa nel teatro, per cui, salvo che in rari casi, la dicotomia rappresentativa si riduce a due soli atti, anche se l'opera originaria ne prevedeva tre o più. La musica e il canto hanno restituito alla loro semplice emotività e spogliato dalla retorica prosaica, l'opera descrittiva delle fogne parigine, nelle quali la sofferenza, l'itineranza senza meta che non sia la ricerca animale del sostentamento e di un provvisorio riparo, trova nel sogno armonioso del canto la sua sublimazione. Le precise entrate e uscite di scena orchestrate dalla regista hanno messo in evidenza la scansione fattuale e temporale del primo viaggio al termine della notte della letteratura francese e consentito a ciascun interprete di manifestare il suo talento, virtuosismo e livello raggiunto. Ci sarebbe in alcuni casi da chiedersi e da chieder loro, quale scelta esercitare nella vita adulta che si schiude, se non fosse già implicita la risposta nel doppio serissimo impegno assunto, che persegue un obiettivo remunerato nella vita, ma non trascura e conserva la sua anima profonda e personale. E' stato bello veder crescere ed apprezzare tanti giovani talenti in procinto di avviarsi sui sentieri della vita, ridare, in lingua allogena vita a un povero contadino che per ever rubato una pagnotta viene condannato a cinque anni di lavori forzati, un autentico sadismo, che salgono burocraticamente e diciannove per i suoi istintivi tentativi di fuga. Viene perseguitato da un infelice che assume per propria terapia la perfidia coperta da una divisa, riesce a diventare uno stimato cittadino, ma viene ancora inquisito dal sospettoso Javert. La sua esperienza da miserabile lo induce alla cura e alla solidarietà verso i deboli e abbandonati, della povera prostituta Fantine, abbandonata con una figlia da uno studente di passaggio. L'intervento inusuale di un borghese verso una reietta allerta l'istinto da sbirro di Javert, che dapprima non riesce a scalfire la nuova identità di Valjean, la cui natura affine alla sofferenza e non alla retorica valoriale borghese induce ad autodenunciarsi, quando al suo posto viene incriminato un innocente, una specie di esca per la sua coscienza. Come un libero ed insofferente animale, come il grande cane Mel, fugge ancora: solo nella fuga, questi viventi, possono aspirare alla libertà. Ha tempo e modo di strappare un'altra ragazza, Cosette, a servizio da una coppia di sordidi malvagi, che adotta come figlia. Nel contesto sociale, per essere accettati, bisogna ripetutamente cambiare identità; prende il nome di Fauchelevent e, in questa veste, conosce Marius de Pontmercy che, pur figlio di un generale dell'Impero, è un sostenitore della causa del popolo. Con lui e con il monello Gavroche ( un'anticipazione del delizioso e pur dolente monello al fianco di Charlie Chaplin ) ritorna costantemente alle sue origini e partecipa all'insurrezione di Parigi del 1832, durante la quale conosce ancora la retorica umanità di salvare la vita anche al suo aguzzino, l'ingessato Javert ed al suo nuovo amico Marius, che sposerà Cosette, poco prima che Jaen Valjean muoia e concluda la vicenda. Pietro ha interpretato il miserabile e barbuto Jaen Valjean, fino alla sua condanna alla catarsi, successiva al contraddittorio instradamento sul sentiero delle convenzioni, con evoluta capacità canora, trasmettendone il tormneto interiore dovuto all'abbrutimento di una vita senza argini e scopo, precipitati dall'abbrutimento del carcere e dalla consapevolezza, tutt'altro che consolatoria, della miserabile condizione della vita nei diversi costumi e costumanze in cui si atteggia. Nella seconda interpretazione glabra ( senza barba ) di un giovane di buona condizione, ma visitato dal senso dell'ingiustizia e dell'ipocrisia del vivere al riparo, impersona la conversione ai sentimenti senza interessi, che proteggerà, fortificandolo, nel rapporto amoroso e matrimoniale con una creatura che altrimenti sarebbe stata mortificata e sciupata da ogni sorta di utilizzo servile e prostitutivo, in senso lato, ai fini dei quali nessuno le avrebbe permesso di uscire da quella condizione. Sarà un buon medico.

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