giovedì 2 giugno 2016

Celebrazioni senza tempo.

I pochi organi di stampa cu carta, in procinto di fondersi fra di loro e usi da tempo allo scambio periodico dei direttori, come una qualsiasi holding industriale ( o finanziaria? )oggi erano pieni di propaganda elettorale indiretta e di "coccodrilli" celebrativi della Festa della Repubblica. Anche gli inserti culturali erano molto, troppo, onanistici. La cronaca si soffermava sul rogo della fidanzata e lo colorava di strampalerie sul Malleus maleficarum dell'Inquisizione e sulle streghe: da modesto frequentatore della realtà romana - della quale ho una struggente nostalgia, come di un abbacchio regale al confronto di una fettina di pollo - ne avevo colto l'umore denso e acerbo di un'emotività sentimentale per la prima volta o per le primissime volte provata di un maschio retorico, fantasticatore e geloso e di una femmina, racchia assai e pure un po' stronza, che lo aveva pubblicamente sostituito a due giorni dall'abbandono. La vita primitiva, che residua in noi per tutta quella biologica, con la quale la civiltà non ha nulla da spartire, contempla la violenza, da ragazzi o con una testa intatta negli anni successivi e l'arrostitore della Magliana poteva certamente confondere un "malleus maleficarum" con uno stinco di porco. La Repubblica, house organ, si chiedeva come sarebbe oggi l'Italia se al referendum di settantanni fa avesse vinto la monarchia. Screditata nell'uno come nell'altro caso e la dotta riallocazione sulla scacchiera delle tessere: nobiltà, diplomazia, Chiesa cattolica nazionale, ecc. oltreché stucchevole, capace di dare il mal di stomaco, nella glorificazione museale di categorie obsolete, chiusesi nelle loro minuscole, ma intatte ridotte, esclusivamente - è ovvio, ma negato, come la masturbazione femminile - reddittuali, era la rielaborazione giornalistica immaginaria di una storia mediocre. La Chiesa oggi parla e pappagalleggia, come amava far fare Bergoglio al suo Loreto o Cocorito, ma la sua voce pubblica, mediatica è il megafono di un potere poco condiviso e probabilmente minoritario all'interno della gerarchia ecclesiastica. Non essendo la Chiesa una democrazia, non se ne avvertono le silenti ed attendiste obiezioni. Bergoglio non è stato l'usurpatore del soglio di Pietro, come dicono, per pochi ( ma potenti ) intimi, Socci e soci, ma l'effige retorica di un apparato screditato e in crisi. E la Repubblica italiana? Eterodiretta, per conto dell'alleato tedesco e con i buoni uffici di un imbecille: nel solco della tradizione. Anche il grullo parla, parla per riempire il vuoto che si sta colmando di macerie. Pochi occhielli sintetici sui contenuti di accoglienza delle tre religioni monoteiste; richiami semantici, distinzioni - nel nostro ambito cattolico, gesuitiche - fra accoglienza e cittadinanza, fra ricetto e diritti. Una pena, per loro soprattutto e per me che le leggevo. Il Dalai Lama, esegeta della terapia tranquillizzante del buddismo, si chiedeva invece ( sembrava preoccuparsene ) se l'eccessiva presenza di islamici entro i confini dell'europa non l'avrebbe snaturata culturalmente, non religiosamente in senso proprio, ( il buddismo è una filosofia ). Interessante e aderente alla realtà, non rimossa, né occultata sotto diversi strati di ipocrisia, anche esegetici, semantici e culturali. Probabilmente no, perchè gli arrivi vanno a gonfiare le periferie ex operaie, domani "slums" delle città, che si ripopolano e vantano le loro dimensioni attraverso il contributo randagio e sofferente di queste genti che, per sentirsi "identitari", non hanno altra risorsa a cui riferirsi. Sarà quando qualcuno dei loro discendenti avrà perso la fede e la mansuetudine, insieme all'ordine del proprio riconoscimento rituale, che si scatenerà la violenza, arginabile e censurata bilateralmente dagli ospiti e dagli ospitati, da ogni fede e sentire comodamente metabolizzati. Forse si, se la metabolizzazione si ammalerà gravemente e l'ordine convenzionale si rivelerà alterato come l'effetto di una malattia silente. Ma noi che conosciamo la redenzione, sappiamo o speriamo che, anche attraverso il "sacrifcio" di un'intera civiltà, l'armonia basata sulla forza e sul "diritto" si ristabilirà e troverà una compiuta giustificazione nei retori della sua celebrazione, che trarranno facilmente alimento dgli elementi erchetipicamente comuni di una tradizione, geograficamente e culturalmente aliena, impostasi sulle macerie di una grande crisi, incistandosi sul diritto che ne promanava residualmente, esercitata sugli ingenui insoddisfatti. Se poi cambierà nome e contenuti, poco importa: basterà mettersi in favore di vento.

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