lunedì 6 giugno 2016

Il cancro della democrazia.

Un organismo, fisico o politico, si ammala per l'impazzimento del suo DNA, quando l'igiene carente degli avi, sommmata a quella genetica personale, concorre a creare le condiioni per il manifestarsi di una malattia altrimenti subdola, i cui sintomi, quando si manifestano, sanciscono una condanna a morte. Il DNA di un ordinamento è la sua Costituzione e il fatto stesso che in circostanze storiche, nelle quali sono venuti meno alcuni significativi artefici di quei contenuti, le modifiche - in parte necessarie - vengano condotte ad esiti non dibattuti sull'abbrivio di slogans di moda e vengono amputate " per ragioni di costi" istituzioni di garanzia storiche, a beneficio di freschi manipoli di ricopiatori superficiali di testi che, in autonomia, non sarebbero capaci di redigere, né di concepire. La disaffezione al voto continua, accusa qualche volta un incerto e disordinato recupero, un "famo a provacce" privo di riferimenti, illusioni o garanzie. Su questo scempio, se la dicono e se la cantano tutti gli improvvisi e improvvisati protagonisti della kermesse colorata e aconcettuale di una democrazia per demando, minore e sotto tutela. Per questo, gli esiti più imperscrutabili vengono celebrati come se possedessero una concretezza, avessero dei contenuti e delle prospettive non trasformistiche. L'impegno politico, o presunto tale, è diventato una prospettiva d'impiego stabile o almeno prolungato, nella quale gli apparati, in simbiotica sinergia regolamentare, sono pronti a far regredire e stroncare ogni velleità d'autonomia, ogni aspirazione a continuare, dagli scanni di rappresentanza, ad impersonare le esigenze della vita comune. Per questo le democrazie deperiscono e alla loro decadenza concorrone le istituzioni modificate che erano state assemblate per sostenerla. Il cancro, appunto, della democrazia.

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