martedì 10 novembre 2015

Scrostando la patina al basamento dei monumenti..

A settantatre anni Sandro Mazzola, il n. 10 dell'Internazionale e della nazionale di calcio, in staffetta con quell'abatino di Gianni Rivera, secondo l'efficace, ma fin troppo benevola definizione e sintesi di Gianni Brera, si è deciso a rendere omaggio alla memoria di Ferruccio, suo fratello, riserva nell'Inter di Helenio Herrera, poi giocatore della Lazio e di società minori. Anni fa, Ferruccio, già malato, denunciò le "pasticche" del Mago e le anfetamine fatte deglutire con il caffè, prima delle partite. Apriti cielo! Denuncia dell'Ambrosiana Inter, che fu però sconfitta in giudizio e ostracismo da parte del fratello, famoso, coperto e allineato. Oggi che l'Inter è passata in mani indonesiane, Sandro si è deciso a confermare, parola per parola, le affermazioni di suo fratello. Le "magie" di un semianalfabeta che in trent'anni di esperienza italiana non imparò a declinarne la lingua, possedendo una pietosa sintassi anche dello spagnolo, erano "truccate" da anfetamine, tanto che i calciatori avevano preso a sputarle, simulando la necessità di appartarsi in bagno. Accortosene, il "Mago", con la complicità del medico sociale della società e della società medesima, prese a scioglierle nel caffè e ad assistere alla sua assunzione. Anche Carletto Mazzone lo querelò, ma poi ritirò la denuncia. Insieme a Carlo Petrini, Ferrucio Mazzola rivelò di quale sostanza fosse e sia fatto il mondo a manovella del pallone, sport plebeo, per plebei e praticato da plebei, talmente condizionati e succubi di un guadagno, ma, molto spesso, solo di un ambiente mafioso, da sopportare la "riduzione" della loro vita e da negare anche alla loro coscienza la solidarietà verso la verità, anche se a pronunciarla era stato un fratello "minore", sfigato e senza una posizione da difendere. "Era tutto vero", ci siamo intossicati per tutto il corso della nostra breve ma intensa carriera sportiva e non sappiamo neanche se i decessi prematuri, le SLA e le altre "ascose ed arcane" patologie, siano state determinate da quelle pastiglie di cui non si conosceva la natura, ma che si dovevano ingurgitare per rimanere in quell'ambiente, ai vertici del successo o, comunque, a latere. Non stupisce che siffatti sicofanti siano usi scommettere contro le loro squadre e società: è la loro pallida eppur speculativa rivalsa verso un mondo che li considera per quello che sono, cioè dei volgarissimi podisti, inclini ai falli più criminali e alle strategie più antisportive. Chissà com'era il "grande" Valentino Mazzola, padre di entrambi, capitano del Torino dissoltosi a Superga? I ricchi e gli aristocratici torinesi non vollero condividere con il popolino la loro passione, alimentata dai gladiatori, provenienti dalle più tristi periferie operaie, come Valentino medesimo e fondarono la Juventus, venduta poi a tutti i "senza patria" della passione pedatoria. Il mito di Valentino non soffrirà, casomai si attenuerà fino a rimanenere solo negli annali; è morto prima delle inchieste giornalistiche, delle indagini giudiziarie e scientifiche di Guariniello. I suoi figli hanno conosciuto destini diversi, ma non sono stati sfiorati dal mito: solo dagli interessi.

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