mercoledì 4 novembre 2015

Destrutturatori e edificatori.

Alfio Marchini, discendente di una delle più note famiglie di palazzinari, candidato trasversale, come i suoi affri, a sostituire Il dimissionato Marino al Comune di Roma. Quale ritorno alla più vieta tradizione non si poteva immaginare. I palazzinari romani furono e sono la cartina di tornasole del ristagno o della dinamicità dell'economia speculativa della capitale e, purtroppo, un po' di tutta l'Italia, con la forte cointeressenza delle imprese mafiose e, nel caso romano, clientelari. Dieci anni prima dell'unificazione militare d'Italia, Mons. De Merode fondava nelle Roma papalina la Banca romana, destinata dopo la breccia di Porta Pia a diventare il volano degli intrighi sabaudi e pontifici nella neo Capitale d'Italia, in una salomonica spartizione degli affari e dell'influenza appaltata ed esercitata dai funzionari della banca che diventerà il Banco di Roma, in un equanime bilanciamento fra nobili "neri" pontifici e nobili sabaudi, molti dei quali massoni, come il monarca medesimo. Le fortune o i ripiegamenti della Banca romana, del Banco di Roma e, da ultima, della Banca di Roma, sono stati segnati dalla fragilità o dalla solidità del business edilizio, in simbiosi dissimulatoria con la finanza impomatata e cafona e i flussi di denaro vaticani che si intersecavano e fornivano copertura ad ogni sorta di investimento combinato, evasivo e mascheratorio. Ecco addirittura, dalla sera alla mattina, costituirsi un nuovo partito, pronto a fare il tappeto d'Aladino per un palazzinaro, non ignaro di politica, ma solo di quella veicolatrice dei suoi affari e delle ripartizioni clientelari da distribuire sapientemente. "Roma, alma Roma, ti darai tu a un beccaio?", cantava Gabriele D'annunzio, mentre faceva defecare Eleonora Duse su di una lastra di cristallo. Avvenne subitamente. Figurarsi se non si concederà a un palazzinaro.

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