martedì 23 settembre 2014

Vorticose giravolte.

L'impresa è in corso di realizzazione. Superata la prima boa, le riunioni ideologiche hanno incatramato i protagonisti. Che fare da qui alla fine dell'anno? Il giorno dopo i discepoli sembravano allucinati, drogati. Silenzio e ingessatura, presunzione di preminenza e libero insulto, di quello con cui il bue dà del cornuto all'asino. La composizione binaria ha conosciuto un incremento: adesso escono i tre dell'Ave Maria, alla ricerca dell'obolo per la benedizione pasquale. Uno sembra il chierichetto che porta gli attrezzi, il libro e l'aspersorio, in una borsa di pelle. Lo fanno anche a tarda ora, non si sa quando ritornano, ma, nel frattempo, altrettanti presidiano il fortino, ogni sera. Ma, ciò non ostante, tanto si apre e tanto si chiude o viceversa; il senso della presenza è da caserma della Guardia regia. Da otto anni non si crea più ricchezza, la base, quindi, è ridotta e statica. Il conflitto consiste nello spostarne una quota maggiore nella propria bisaccia, ma, alla fine di tanto lavorio, il saldo è stato e sarà zero. Ad ogni fine e ad ogni nuovo inizio, sempre uguale, si travasa, si sposta; i titolari di targhette, occultano agli altri, reindossano poi. La moneta per lo scambio va sulle montagne russe: non si fa in tempo a riemergere che ci si deve reimmergere, ridiscendere appena si è risaliti con le cartucce per la caccia al cinghiale, al tordo o al fagiano. Il fischio sibilante ad ogni accesso sembra un allarme bellico, un indossatore maturo ne approfitta per rimirarsi nel plexiglass, sei-sette volte al giorno: mi ricorda Umberto Francioli di "ho un debole per l'uomo in Lebole", il bianco e nero dell'epoca ricorda la sua grisaglia. Anche il confine con altra entità del Gruppo non è più oltrepassabile dopo una data ora e, sia pur solo per evitare allungamenti di percorso, si innesta spesso la sirena che segnala i fuggitivi. L'andirivieni dei marziali galoppini della finanza itinerante, dei fumatori nevrotici, dei dipendenti dalla caffeina, rincara la dose. In fondo sono sempre gli stessi, interni ed esterni, ad essere annunciati: facce nuove non se ne vedono. Il primo che arriva al cesso rischia di bagnarsi i pantaloni per il frenetico scatenacciare, prima dell'uscita. Dopo pranzo, s'ode un sussurro. Devo andare in bagno. Pochi attimi dopo: ma...hai scorreggiato, senti che puzza, sei ignobile....ti sei cagato addosso? Non è chiaro se le formidabili nuances digestive siano il precipitato di imperiose costipazioni gastronomiche o se si tratti di una sofisticata tecnica di dileggio, consistente nello scorreggiare tre secondi prima di raggiungere la servitù di passaggio che costituisce una scorciatoia per il bagno, per circonfondere e incensare. Certo che lo sforzo verso l'obiettivo, implementatosi a Luglio, produce effetti avvertibili. Ma, pur nell'olezzo, la sparuta pattuglia non si scompone: continua granitica nell'impresa. Al piano di sopra, come accennato, per superare il confine artificiale tracciato dalla Capogruppo, si abbandonano gli avamposti cinque-dieci minuti prima della campanella; una collega più condizionata dagli orari esecutivi, tenta spesso una sortita tardiva fra il filo spinato e induce suoni laceranti di sirene. Il giorno volge al crepuscolo. Di ritorno dall'underground viene fatta scorrere la porta a vetri: posso andare? Vadi...vadi pure. Il ragazzo del pony express caracolla troppo tardi verso il confine: "mannaggia a voi, prima mi hanno chiuso la strada e adesso mi avete chiuso anche la porta". Con una cordicella, la smunta sacca della sezione in isolamento cala verso di lui. Saluti e fuga. Il cenacolo si ricompone, i gesti si fanno cadenzati, finalizzati all'impresa. La formazione di pronto intervento è di nuovo composta da tre elementi; con fare cipiglioso incedono verso l'obiettivo. Quando loro escono, i superstiti si consultano: io fra tre quarti d'ora devo andare....io adesso vado in....mi raccomando, la filiale è nelle tue mani...la settimana prossima vai in ferie? Per quanti giorni? Tutti e cinque, perché? Borbottio indistinto. Mi adeguo:al terzo rientro e prima che risortiscano, vado a prendere un caffé. La trimurti si scompone: uno resta sulla breccia, gli si affianca un nuovo produttore-telefonista, che comincia ad uscire dal centralino. Un notaio lo tratterrà poi per novanta minuti: che categoria di merda. La tempesta si placa, la bonaccia si instaura, bene o male si arriva a sera. Mentre esco sento che si concertano per la cena: no, quello mi fa male, quell'altro mi fa scorreggiare...no, per carità. Fuori della porta, accovacciata sul selciato c'è una povera ragazza incinta, sarà di otto mesi. Le avevo suggerito di spostarsi, per sottrarsi alle visite dei vigili chiamati dai bottegai che ci circondano. Aveva fatto finta di non capire e poi si era allontanata. La sera successiva, una donna anziana, ma valida, l'aveva riportata al suo posto di lavoro, e si era ben guardata dall'aiutarla mentre si appoggiava sulle braccia per sedersi per terra. Stamattina, affiancandomi, mi ha sorriso e mi ha salutato, così come fa quando le passo davanti per la pausa caffé. Qualche volta le lascio cadere qualche moneta nella ciotola, vicino alla quale è scritto "ofame". Non mi sorride per questo, anzi immagino che mi consideri un po' ingenuo, ma mi sorride per l'attenzione. Io so che non mendica per fame, anche se è di una magrezza accentuata; penso che viva in un accampamento e che questo sia il suo lavoro, un lavoro triste come i suoi occhi. Una "signora" mi guarda con dispetto mentre mi chino per salutarla con un tintinnio.

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