mercoledì 17 settembre 2014

Il proficuo anonimato dei soldi.

Il mondo del pallone è malmentoso, volgare e corrotto. Lo denunciò per primo Carlo Petrini, che di quel tristo spettacolo fu per molti anni protagonista, ma, ad ogni stagione, cioè due volte nello stesso anno, in un tour de force sfinente, il baraccone si ripresenta al suo pubblico di devoti. La piccola imprenditoria domestica mira a speculazioni a breve sul corpore vivo della passione sportiva - che in loro è completamente assente - e la vocazione a trar profitto da situazioni contingenti porta a campionati scadenti e a periodiche retrocessioni. Anche fra le retrocesse, infatti, i nomi nuovi latitano: sono sempre le stesse a scendere e a risalire. Quando si verifica un'anomalia, la natura di profittevolezza spicciola e occasionale, è rivelata poco dopo dal fallimento delle società medesime, che, in quello stato, vengono rilevate per quattro soldi e il ciclo ricomincia. Pare che il Bologna f.c., finito, da ultimo, nelle mani di Albano - certamente dal nome del buon vino che non viene più prodotto - Guaraldi, stia finalmente per trapassare in quelle di un business-man italo-americano, che già sette anni fa tentò l'avventura, che nel frattempo ha favorito l'acquisto della Roma da Unicredit che l'aveva ereditata dalla Banca di Roma, facendovi, la stagione scorsa, un ottimo lavoro. Ora, garantita al pirata Guaraldi ed ai suoi soci una buonuscita personalizzata, messi a repentaglio tre milioni di dollari di cauzione non restituibile, dopo i due che il filibustiere Cazzola - quello del Motor show bolognese scippato per Milano - si intascò adducendo la lungaggine della trattativa, per poi cedere la società ai Menarini - il passaggio del soccer Bologna a una anonima banca d'affari statunitense, sta per entrare nella fase del closing. Peggio di così non potrebbe essere andata fino ad ora e l'evoluzione dello sport professionistico più seguito verso lo show-business mi sembra naturale ed anche auspicabile. Il merito sportivo è morto e sepolto, l'immoralità mercificatoria è imperante e un po' di calvinismo affaristico può solo migliorare la situazione, almeno in un mondo dedito solo ai soldi. Potrà sembrar naturale che ad interessarsi speculativamente delle sorti calcistiche nazionali siano uomini d'affari oriundi dall'Italia, ma il clan di Joe tacopina, James Pallotta e Joey Saputo, rievoca la Chicago degli anni '20 o la trimurti, sbocciata contemporaneamente di Martin Scorsese, Al Pacino e Robert de Niro, su cui aleggiava il simbolico copricapo di Francis Ford Coppola. Era l'epoca dei western all'italiana di Sergio Leone, nell'ambito di uno scambio culturale ed economico di tutto rispetto. Sarà incongruo l'accadimento, ma stranamente, nei mesi scorsi la Philip Morris ha scelto Bologna per impiantarvi un suo stabilimento. Il calcio, per gli americani è un business decentrato, nel quale veicolare tanti denari e dal quale trarre ingenti profitti; come in Inghilterra, dove gli investitori sono stati invece yankee anglosassoni, non resteranno affezionati alla causa per sempre. A tempo e luogo passeranno la mano, a un emiro, a un Kazako, a un Cinese, ma, speriamo, finiranno di spartirsi gli antichi blasoni, i Cazzola, i Menarini, gli Spinelli o un Guaraldi. Insomma, la palude resta, è solo più ricca di fosfati, il brand viene venduto e la "gente", continuando a non capire un cazzo, l'alimenta adorando.

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