lunedì 1 settembre 2014

Triste declino.

Cinquant'anni or sono, moriva a Yalta Palmiro Togliatti, oggi sostituito da Matteo Renzi alla guida della sinistra, nella quale si è finalmente consumato ( fino a quando? ) quel connubio con i cattolici, che il "migliore" cominciò a perseguire fin dal dopo guerra, ricevendone in cambio calci in viso. Togliatti fu anche un mediatore all'interno degli organismi internazionali comunisti, ne fu il "giurista", realista e prudente. Nessuno se ne è ricordato; nessuno ne ha celebrato la ricorrenza, che in altre circostanze, sarebbe stata invece enfatizzata. La sua linea politica intersecherà tutta la storia del Partito comunista italiano, fino al tentativo di cooptazione di Aldo Moro, che gli costò la vita, non per trama atlantica, ma per la reazione dell'ala armata che uscì dall'accomodante partito fin dagli anni '60. Prima di lui, molto prima di lui, se ne era andato Alcide De Gasperi, che, già anziano, si era sobbarcato la ricostruzione nazionale, forte della sua esperienza di trentino al parlamento austriaco, della sua poca italianità caratteriale, nei marosi della pesante interferenza vaticana e statunitense nelle vicende post belliche. Pur costretto nelle strette spire concesse alla politica italiana, De Gasperi fu uno statista e diede ai cattolici italiani una nomea che non era la loro, come dimostrerà, subito dopo la sua morte, l'ascesa degli Andreotti, dei Fanfani e dei Rumor. Togliatti, che in una fase precoce della sua esperienza politica, forse disilluso ma ormai dentro agli ingranaggi della carriera intrapresa nel PCI, non se la sentì di rinunciare allo status già saldo, seppur in evoluzione, di regredire e di "fallire" e si impegnò con tutte le sue forze a mantenere indiscussa la sua leadership sul partito nazionale, che non fu da lui fondato, né da Gramsci, ma da quell'Amedeo Bordiga che ne rappresentò l'anima più conseguente e meno compromissoria e che, proprio per questo, fu relegato sistematicamente ai margini della sua creazione. Come un prete, ormai ordinato, prese atto dell'impossibiltà pratica di tornare sui suoi passi e divenne "santo", perfezionò la sua vocazione senza fede. Palmiro Togliatti è stato uno dei più grandi cinici della storia europea e mondiale del secolo scorso, forte di un assoluto realismo e di una capacità interpretativa penetrante e vigile, che gli derivava da una profonda cultura. Fu un leader del comunismo mondiale, ma non fu leader in Italia. Il suo era un realismo da estraneo, anche all'interno del suo stesso partito, nel quale intrattenne rapporti solo con Amendola, di Vittorio, Pajetta e con i giovani Ingrao e Berlinguer, confliggendo e, all'occasione, strumentalizzando le opinioni del carcerato Gramsci, di Bordiga e di tanti altri, meno noti, militanti di vertice del secondo partito della Repubblica italiana, emblema delle diversità endemiche che rimangono sempre sotto una traccia conformistica e prudente. Come tutta la sua politica, del resto. Triste declino di una grande stagione politica, il renzismo inane ai vertici del Governo, della Commissione europea, della Banca centrale europea, della diplomazia europea, a dimostrazione che, per avere successo, la mediocrità paga. Solo democristiani si sono succeduti alla guida delle coalizioni di pseudo-sinistra, che il "compromeso storico" sulla base del solo interesse ha prodotto fino ad ora. Sono stati il risultato postumo della vicinanza al mondo cattolico, che il comunista Napolitano mostra di condividere, in patria e, realisticamente, nei confronti dei poteri forti atlantici ed europei ( salvo il breve interregno di D'Alema e il tentativo del cattolico-gladiatore Cossiga di sponsorizzare l'ultima compagna del "migliore", Leonilde Jotti ). Connubi, appunto, sotto traccia.

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