martedì 17 dicembre 2013

Una voce fuori dal coro.

"Da bambina, a Natale, insieme alla mia famiglia, andavo a recare generi di conforto ai poveri, ospitati in appositi ricoveri. Era uso aiutare con cibo e abiti dismessi, ma anche con oggetti che noi, bambini più favoriti, avevamo detenuto abbastanza a lungo da non separarcene con dispiacere, chi faceva fatica a procurarseli. A quei tempi, il concetto educativo che ci veniva trasmesso era di donare; oggi il principio egemone è accumulare e nei momenti di difficoltà, trattenere". Non c'è più speranza, né orizzonte: tutti sono dei potenziali competitori, anche coloro che non hanno niente, forse troppo numerosi, forse non accolti e custoditi in appositi pietosi contenitori; potenzialmente potrebbero privarci di tutto, disordinatamente. Me lo diceva, questa mattina, una vecchia signora, tanto franca e modesta nel proporsi, quanto qualificata negli studi e nella professione, abbandonata la quale, aiuta il figlio, malato di cuore e impiega il tempo libero nella cura dei bambini i cui genitori sono impegnati nel lavoro. Nonostante le necessità sopravvenute, non trascura mai di donare quanto può a un nipote lontano, probabilmente frutto di una relazione finita, che loda per il suo senso di responsabilità e la sua disponibilità verso la madre e la nonna che vivono con lui. Speriamo che l'intelligenza e la volontà l'assistano e anche la buona sorte in una società, almeno nlle sue espressioni esteriori, cinica e superficiale. Queste caratteristiche costituiscono l'ideologia corrente, pretendono di omogeneizzare i comportamenti e i sentimenti di ciascuno, puniscono chi resiste, isolandolo e deridendolo. Eppure, ne sono certo, non prevarranno. Potranno autocelebrarsi e proporsi all'ammirazione, ma non potranno violare l'intimità affettuosa che in tanti alligna nascosta e ci consente di rasserenarci, lontani dallo scorrere di una rappresentazione decadente.

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