venerdì 27 dicembre 2013

L'eterno spettacolo.

Le città, a Natale, non sono tutte uguali nei sentimenti o, più banalmente, nelle sensazioni che riescono a suggerire. Bologna è fastosamente fasulla, mercatoria e triste. Le luminarie ottundono le bellezze artistiche, proprie di un'aristocrazia accademica, splendide, ma arcane, riservate e escludenti. La plebe, ai vari livelli, si affastella nei dintorni, è esclusa da tanta magnificenza appena intuita e, a piedi o in motorino, vagula chioccia o frenetica. La scelta mercantile, frutto di una posizione geografica strategica per il commercio al minuto e all'ingrosso, sia nei termini preponderanti del trasporto su gomma,sia in quello quasi residuale, per scelta, ferroviario, mentre anche lo sviluppo dell'aeroporto ha incrementato i trasporti cargo, ne ha impedito, per converso, la fruizione culturale, ricca ma denegata, anche per una ridotta ospitalità alberghiera che si esercita quasi esclusivamente in funzione delle fiere. Eppure, le sue potenzialità turistiche sono inesplorate e potrebbero internazionalizzarla, cambiando anche la frequentazione stabile e turistica delle sue vie del centro, se solo si volesse. Ma non si vuole. Un sindaco ( probabilmente Guido fanti o al più tardi Renato Zangheri ) ricevette una proposta precisa: un magnate chiese di poter impiantare in Bologna la sede europea della sua azienda e la garanzia di non subire ostracismi e contese. Bologna avrebbe seguito la sorte di Genova, Torino e Milano, si sarebbe gonfiata di maestranze immigrate e di diverse sensibilità politiche e culturali, avrebbe conosciuto opulenze e profonde crisi e avrebbe traumaticamente abbandonato i suoi costumi pettegoli e provinciali. La città era ancora la vetrina del comunismo "scandinavo" italiano, edificato sui servizi che avevano liberato per il lavoro e il doppio reddito domestico le donne con prole. Il Sindaco declinò, affermando di preferire la sua citta post agricola e, contingentemente, fece una scelta comprensibile, ma poco lungimirante, fortemente conservativa, di cui ora si pagano le conseguenze, in termini di rapido decadimento urbano, di arretratezza nei trasporti, di impreparazione alla ventura area metropolitana che peggio mal servita di come si prospetta è difficile da immaginare. Ha solo evitato di amministrare il caos urbano che ora incombe comunque e che ci trova impreparati. Ma, ne sono certo, si continuerà a dire che Bologna è un modello di efficienza e il gregge dei destinatari-votanti della propaganda, ad esserne convinto. Un'evoluzione vera nel mondo di sinistra che l'amministra da sempre, con una breve e non felice interruzione, non si intravede, il buon volere resta una illusione e un break nella involutiva stasi, benevolo o malevolo che possa dimostrarsi all'atto pratico, sarebbe necessario. Bologna resta quindi pettegola e superficiale nelle vie del centro che, anche se da tempo hanno cessato di essere un salotto, respingono nei meandri del borseggio e dello scippo, gli esclusi dall'arraffa-arraffa da tredicesima. Le luci, spente sulle sue bellezze, non visitabili, ne illustrate, il taccheggio così simile, solo succedaneo, al piccolo cabotaggio dell'acquisto giovanile e in tratti pergamenati, non riscaldano, anzi spengono e ottundono anche la vacua allegria degli itineranti con le borse degli acquisti. Qualcuna - sono prevalentemente signore - pratica un periodico pendolarismo, anche solo per frequentare "la piazzola", da altre provincie ancora più tristi. E' proprio la mancanza di uno sfruttamento turistico, dell'invasione ordinata degli stranieri in fila, dei palazzi storici ancora in gran parte di proprietà privata che vengono serrati a doppia mandata e di quelli pubblici non promossi a livello di massa; mancano i venditori ambulanti, i caricaturisti, le produzioni artigianali rese accessibili sulle piazze e nelle vie più belle, il suono delle mille lingue che, universalizzano la vita quotidiana, per tutto l'anno, delle città d'arte e cultura, ne valorizzano la vita e tutte le attività e non consegnano alla depressione le figure marginali, autoctone o immigrate, che le popolano il più a lungo possibile, prima di ripiegare sui loro improvvisati giacigli. Che cosa sarebbe Bologna senza la sua Università? Una suburra di mercanti queruli, avari e cafoni, ma perchè le sue istituzioni culturali sono popolate, nelle adiacenze, solo da bar e ritrovi per studenti e non conoscono sale pubbliche di lettura ed uso dei video terminali, di biblioteche multimediali e tradizionali, di nuovi alberghi nelle zone vive dei teatri, cinema, auditorium della musica e locali d'avanguardia? Il cosiddetto degrado si contrasta così, non cancellando la letteratura murale a beneficio dei condomini speculativi ed ospitando il barbonismo che nell'informalità degli Studi trova un angolo di tolleranza. E' una forma di sopravvivenza preculturale che, una comunità evoluta, dovrebbe accogliere in luoghi acconci e in forme ,per quanto da costoro fruibili, confortevoli. Sarebbe egualmente un ghetto, ma se avesse le fattezze di un parco, ad esempio, sarebbe quanto di più approppriato. Le città d'arte, pur nella superficialità del minuto sfruttamento turistico non cambiano mai aspetto, non offrono mai uno spettacolo stupido e mediocre, sul loro palcoscenico. Dal centro alle periferie, offrono la visione dell'incontro parallelo in orario diurno, delle più svariate realtà rappresentative e rappresentate che le compongono e anche il lavoro occasionale e frenetico che di questi tempi caratterizza le vane speranze di tante persone, torna a contestualizzarsi, nell'eterna ripetizione dello spettacolo delle generazioni e dei periodi storici di cui siamo noi, attualmente, gli inconsapevoli interpreti, prima che nuovi figuranti prendano il nostro posto sullo stesso fondale.

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