venerdì 13 dicembre 2013

Ritorno ai forconi.

La forconite nazionale non si discosta da nessuno dei movimenti e degli atteggiamenti della nostra breve storia nazionale. E' una ribellione apparentemente spontanea, che deriva dalla perdita di una serie di posizioni di rendita che costituivano - in parte - il keynesismo nostrano. Associazioni di imprenditori falliti, di disoccupati che si attardano sull'ereditarietà del posto di lavoro, reddito di sussistenza clientelare che sta per essere sostituito da quello di cittadinanza e che costituirà un'indennità di disoccupazione..perenne. Il lavoro, proprio perchè è diventato flessibile, è aumentato esponenzialmente e le retribuzioni di fatto ( anche artefacendo il diritto ) sono diminuite, mentre la rincorsa contributiva rischia di appiattirsi su pensioni decrescenti, soprattutto se non saranno percepite per breve tempo. Se non è un progetto di proletarizzazione della piccola borghesia, è qualcosa che mi sfugge. La ribellione indistinta è facilmente criminalizzabile, anche se il successo dei movimenti populisti e forcaioli, rappresenta, per ora una patina protettiva per queste pirotecniche proteste. La stessa ascesa di Matteo Renzi è un adeguamento a sentimenti mediocri e indeterminati. E pensare che a ben altri esponenti della sinistra , quella comunista, che non rinunciavano a ragionare con la loro testa, venivano comminate espulsioni ed ostracismi. La designazione del candidato dell'apparato, tale Cuperlo, alla presidenza, prima rifiutata e poi accettata, serve a incollare vecchie logiche al nuovo vitalistico e parolaio movimentismo. La natura forcaiola e destrorsa della protesta popolare, più incline a reclamare la penalizzazione di questa o quella personalità, aspressione emblematica di un modello e di una parte sociale che ad affermare pretese, ma anche ad assumersi impegni, se non altro di tenuta, è un prodotto del nichilismo fattuale, dell'inazione di governo. Durante il cinquantennale periodo della sostenibilità clientelare, le guarentigie favorivano qualche pigrizia: è assolutamente vero. Ma questo fenomeno, non raggiungeva il 20% della forza lavoro impiegata e, se non veniva sollecitato, era perché la staticità nelle mansioni presumeva di poter trarre il massimo o il meno peggio da queste figure, che, ritenendo di autoaffrancarsi, erano invece tenute ai margini dei processi. Ora, ai margini dei processi, ci sono legioni di cittadini e, fra di loro, divisioni di laureati che, non troveranno un lavoro acconcio, ma non per questo, indipendentemente dalla schifiltosità maggiore o minore, saranno adattabili a lavori estemporanei e di rivalsa, senza che vivano problemi e che ne riflettano gli effetti sull'ambiente di lavoro e, soprattutto, familiare. Il senso di disagio e di insoddisfazione, comunque, non deriva dalla mancanza di prospettive, ma dalla realtà di deprivazione materiale e concreta, che precipita nella depressione morale. La crisi è una condizione molto diffusa, ma soggettiva. I problemi non si risolvono, si rimandano soltanto, in attesa che si ricompongano lasciando inalterati gli assetti di potere.

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