giovedì 12 dicembre 2013

Le macerie della democrazia.

Avvolti nella bandiera tricolore, i comizianti del movimento dei forconi inneggiano a valori stantii di un'Italia vandeana e rurale. Non riconoscono - per ora - appartenenze politiche ed è ovvio che non ne abbiano, naif e generici come sono. Un sentore di destra potenziale, dietro questi principi, tanto scontati quanto emotivi, si avverte; il gesto di solidarietà dei poliziotti in servizio a Torino, che si sono tolti i caschi per la carica, va, a mio avviso, interpretato in questo senso, essendo certamente i poliziotti dei proletari, ma dei proletari indiscutibilmente di destra, estrapolati da culture contadine meridionali e dai borghi del sotto-impiego da statali, con foresterie e furerie a cui attingere e una serie di valori manganellatori verso i quali distinguersi ed infierire con persone di cui avrebbero condiviso la condizione economica - diversa quella culturale -, se non avessero vestito la divisa. Se la preponderante quantità dei forconisti è plebea, non lo è sempre l'apparentemente improvvisato apparato organizzatore, che si sposta rapidamente di città in città, mentre non mancano le giornate intere di rappresentazione, a cura di singoli oratori, su qualche piazza, a suggerire una struttura insufficiente e labile, che, gridando vuole millantare di essere più numerosa e ramificata. Anche oggi, a Bologna, un tonitruante tribuno ha arringato, dalla tarda mattinata fino a sera, i passanti. Tornando a casa, l'ho sentito affermare che la Digos ( che era presente a mezzogiorno ) gli aveva infine sorriso, gli aveva fatto capire che "era con lui" e se ne era andata. Infatti, non c'era più. Se "gli hanno sorriso e gli hanno fatto intendere che erano con lui" vuol dire che si è appellato a sentimenti scontati, non ha appesantito la sua loquela con analisi dei fatti e dei fenomeni, non ha indirizzato la sua violenza verbale contro principi vandeani, tipici della sbirraglia. Si tratterebbe quindi della prima importante manifestazione di un movimento neofascista di massa in Italia; non potrebbe altrimenti essere uniformemente difuso al nord e al sud. Quest'ultimo, in una situazione di profondo regresso economico, al quale è abituato, ma anche e soprattutto civile, privo com'è di una possibilità di espressione ed organizzazione politica moderna, si ritrova all'improvviso alla ribalta: una ribalta spoglia, desolante. Qualche entusiasta ingenuo ci sarà senz'altro, a far numero, costoro sono sempre chiamati. Sono, codesti, la massa di manovra e la testa d'ariete di un vertice dissimulato e discreto, che, per ora, parla sempre di non violenza, ma accusa, censura, esclude, mette all'indice, mentre la protesta pare priva di qualsiasi possibilità di sbocco efficace, simile a una protesta confusa e generica che non si pone obiettivi raggiungibili o che dichiari gli obiettivi concreti delle mobilitazioni, che devono invece essere proposti per scopi chiari. Quali che siano le intenzioni o le caratteristiche di questi improvvisati oppositori, le loro grida si diffondono su un ammasso di macerie civili, sulle rovine di un modello democratico che, alterato nei suoi equilibri precedenti, ha perso pericolosamente la sua base di consenso, che non basta evocare per richiamare in vita. Il fallimento di una rete molto grande di imprese di medie e piccole dimensioni, l'avidità da deficit dello Stato, coniugate con la disoccupazione endemica del mezzogiorno, l'inaridirsi delle fonti clientelari e pubbliche del reddito elettorale, improvvisamente e supeficialmente si omogeneizza con quello delle masse neo disoccupate o mai occupate del centro-nord; si creano le condizioni torbide, nelle quali si esercitano abili pescatori. Questo, per quanto attiene ad una prima e superficiale analisi del fenomeno, al quale hanno dato spazio e respiro le politiche dissennatamente complici fra il Governo, o parti di esso, e il peggior gattopardismo, in una neo alleanza fra le espressioni più conservatrici delle polarità, meridionale e settentrionale del nostro Paese e che, certamente, giocheranno di concerto con un'espressione ingannevole di un malcontento giustificato e in diversi casi, drammatico, che purtroppo si è già cominciato a strumentalizzare.

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