sabato 21 dicembre 2013

Imprenditoria di provincia

Le vicende societarie del Bologna f.c. riguardano una società para sportiva di terza, tendente alla quarta, fascia. Sono però caratteristiche di una certa imprenditoria di provincia che, allettata dalla possibilità di rimediare all'inerzia del settore edilizio, ha sperato di poter edificare un nuovo stadio, anzi un intero quartiere intorno ad esso e di poterlo fare con soldi pubblici che, invece, né lo Stato, ne gli impoveriti ( tranne che per le spese di rappresentanza ) enti locali, ne il Credito sportivo, hanno avallato e finanziato. L'impianto del Littoriale che fu inaugurato da Benito Mussolini a cavallo nel 1925 e che, all'epoca, era il più grande d'Europa, ha i bagni inagibili ( li ricordo perfetti poco dopo l'inaugurazione, per i mondiali )le tettoie infiltrate dall'acqua, le sedie di plastica rotte, divelte, parzialmente sostituite con articoli di recupero di altri sbiaditi colori. La pista in tartan che fu ritenuta idonea ad ospitare un Golden globe, giace sciupata sotto teloni di recupero e non viene più manutenuta. Il grigio delle antiche gradinate sottostanti è riemerso e fa brutta mostra di se, quando viene ripreso dalle telecamere in occasione delle partite, che vengono ancora osservate dal vivo da quattro, ma proprio quattro gatti, conferendo all'insieme un triste sentore di squallore. La sensazione non è solo esteriore, dato che la società, precipitata sul ciglio del fallimento dalle ultime gestioni, annaspa nei bassifondi della classifica, in una continua rincorsa ai diritti televisivi che altrimenti perderebbe, retrocedendo. Quando Alfredo Cazzola rilevò la squadra in serie B, lo fece a prezzi contenuti; con analoghi costi la riportò in serie A, ma, visto che le sue ambizioni di edificatore di una cittadella dello sport andavano alle calende greche e, soprattutto, non trovava finanziatori, mollò la squadra nelle mani di un costruttore, Menarini, molto sponsorizzato in provincia e in regione, che, forse proprio per questo accettò di imbarcarsi in un'avventura per la quale non disponeva delle risorse necessarie. Immersosi nel pozzo senza fondo dell'imprenditoria sportiva, per la quale ha intaccato anche le risorse della sua società edificatrice, proponeva a un imprenditore albanese, che di lì ha poco sarebbe stato inquisito per percosse ad un giornalista che non gli lisciava il pelo, di sponsorizzare, tramite il pallone, una catena di pompe di benzina, ma era rimasto con il cerino in mano di un rifiuto non motivato, via fax da Tirana, quando mancava solo la sottoscrizione del contratto. Trovato in tale Porcedda da Cagliari, gestore dell'omonimo Lido, un improvvisato subentrante, i Menarini gli lasciarono la palla, che divenne incandescente non appena si trattò di onorare i primi impegni economici. Si scoprì, anzi, che il neo Presidente aveva trasferito tre milioni di euro dalla società sportiva alle sue imprese turistico-alberghiere. Con i libri già caricati sul furgone che doveva portarli in tribunale, l'ingegner Consorte, già dominus dell'Unipol scalatrice della BNL, cacciato con infamia e insinuazioni dai suoi committenti e rifondatore di una finanziaria d'affari, oggi in partnership con Alfredo Cazzola, promoter del Motor show che ha cercato ultimamente di portare a Milano dopo averne difeso la bolognesità quando era lui a presiederlo e che rifiutò di rissumere la guida del Bologna f.c., dato anche che era stato bocciato nella sua corsa a Sindaco, già tentata da un altro e fallito ex Presidente rossoblu, Gazzoni Frascara, mise in piedi in un mese una composita e frazionatissima compagine di imprenditorucoli locali, fra i quali spiccava il trevigiano Zanetti, già espropriatore di Francesco Segafredo all'epoca del suo sequestro, per questo motivo radicato imprenditorialmente a Bologna. Costui, dopo tre settimane di presidenza, pur lasciando in cassa quattro milioni di euro, oggi ridottisi in valore a due per l'abbattimento del capitale sociale, lasciò anche la società, affermando sibillinamente di non essere un ricco scemo. Avrebbe dovuto infatti liquidare le quote di tutti i soci minori, dopo un calcolo di rivalutazione, se voleva agire da padrone della neo società senza dover convocare un consiglio di amministrazione due volte al mese per prendere anche le decisioni più minute. E così avvenne per circa un anno, nell'ambito di quella proprietà polverizzata. Poi, l'attuale presidente, Albano Guaraldi, comperò le quote di alcuni fra i soci, più desiderosi degli altri di sganciarsi da un'operazione-salvataggio che a loro non apportava utili. Così, con il 51% in tasca e pochi, pochissimi denari, cominciò a tracheggiare nell'attesa non più di edificare un nuovo impianto, ma di ristrutturarlo e di costruire invece su terreni suoi e dei soci, un nuovo centro tecnico, più grande di quello del Barcellona. A costo zero per le istituzioni locali ( che ci abbiano quadagnato individualmente qualcosa? )l'autorizzazione non è tardata, nonostante il nuovo maxi Centro sorgesse sotto una imponente ragnatela di tralicci dell'alta tensione, al centro di un fortissimo campo magnetico. Per non cassare la concessione, hanno fatto sottoscrivere alla società che gli allenamenti che si sarebbero svolti su quei campi e in quelle palestre non avrebbero ecceduto le tre ore al giorno, limite oltre il quale, per legge, la permanenza in loco diventerebbe pericolosa e rivedendo il capitolato che prevedeva la costruzione di un centro residenziale con servizi, che non verrà più costruito. Insomma, il Presidente Guaraldi, a capo di una società edilizia, a sua volta, si accontenterebbe di ciò che può passare il convento, ma il guaio è che, da due anni, applica la stessa filosofia alla squadra, cercando di mantenerla con i diritti televisivi, senza un direttore sportivo e senza calciatori di "proprietà". Va detto che, nonostante tutto questo, i debiti dichiarati sfiorano i quaranta milioni di euro. Volendo dunque, per amore e per forza, salvaguardare capre e cavoli in attesa di un improbabile donatore di sangue, ecco che il Bologna f.c. ha cercato di tutelare la sua sopravvivenza attraverso i buoni uffici di un allenatore, molto ben pagato, di qualità, che, però, non si è piegato a rinunciare alla visibilità dei suoi schemi di gestione, ad onta di una rosa che gli veniva completata all'ultimo momento, che gli veniva venduta per ripianare i costi stagionali nell'imminenza del campionato, che non ha voluto adattarsi, cioè, a trasformarsi in uno di quegli allenatoracci, spesso a spasso, che con grida ed improperi, hanno fama di salvatori delle cause perse e solo di quelle. Ecco quindi che l'ultimo Bologna f.c. sterile e inadattabile a schemi evoluti, precipita verso la B e, come sempre accade, i giocatori, stimolati ad obiettivi fuori dalle loro corde, si coalizzano con la società - in questo caso - per far fuori l'allenatore che la società stessa aveva salvato per due anni consecutivi. Il mobbing bilaterale avrebbe dovuto portare Stefano Pioli a rassegnare le dimissioni con un anno e mezzo di anticipo, ma lui, giustamente, non ritenendosi responsabile di una situazione periclitante che non aveva creato e forte dei suoi diritti contrattuali, non ha ceduto, nonostante gli si sia fatta vivere tutta l'ultima settimana con le indiscrezioni, anche le più fantasiose e assurde, circa i suoi designati sostituti. Non mancano certo gli avvoltoi in questo sistema senza sportività e senza riconoscenza e ben fa il buon Pioli a non voler morire. Salvatore Bagni, allontanato dopo poche settimane dalla società che ha tentato pure di non pagarlo, perché aveva pubblicamente preso atto che "qui non c'è un soldo" le aveva intentato causa per inadempienza contrattuale e per danni. Ebbene, lo stesso Guaraldi che lo aveva allontanato lo ha riassunto con contratto quadriennale, assimilando le mancate prebende a quelle che, maggiorate ma dilazionate, gli riconoscerà(?). Mentre la farsa societaria continua ad andare in scena, secondo me verso un inevitabile epilogo infausto, ogni sorta di cerusici interessati trafficano, fisicamente, tramite intermediari o tecnologicamente, per Casteldebole: da Marco Di Vaio, la cui famiglia, come quella di Gilardino, continua a risiedere in città, a Malesani, al concittadino Colomba, fino alla meteora Baggio e all'amico di Bagni, Zola, fino all'anziano e mal messo in salute Longo, ultimo consulente di mercato, prima di Bagni, che - afferma - che a tutti potrebbe dire di no, tranne che al Bologna. Che forse, per troppi interessi indotti e non specifici, continua ad affondare nelle sabbie mobili, di costumi che, ad essere generosi, con la sportività non hanno nulla a che spartire. Gli affari sono affari, si diceva; anche i mille e contraddittori affarucoli intorno ai quali si agitano una quantità di famelici e poco dignitosi aspiranti. Tranne l'allenatore, in questo caso.

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