domenica 25 settembre 2016

Mamma, li barbari!

Piazza Verdi, a Bologna, è uno slargo e niente più che ospita l'ingresso del Teatro lirico comunale, una mensa univeristaria e poco altro. In quel punto, per chi proviene dal centro, comincia la zone di interdizione del traffico; per questo, pur non avendo dimensioni eccessive, vi si radunano gruppi di studenti, soprattutto d'estate, per consumarvi qualche serata, senza rifugiarsi nei costosissimi locali della zona. Insieme a loro, nell'accampamento improvvisato, trovano rifugio e si mimetizzano, cercando un po' di compagnia, nomadi informali, erranti apolidi e punk a bestia. La zona, senza l'Università e la transumanza degli studenti, che inizia dalle prime ore del mattino e termina...mai, essendo diventata la cittadella il luogo di ritrovo dei medesimi, a prescindere dai colloqui con i ricercatori, dalla frequentazione delle lezioni e dagli esami, sarebbe un Museo alla residenzialità danarosa e, se adeguatamente provocata, razzista. Nonostante il crescente decentramento, anche in altre città della Regione, l'antico Borgo dei carnasciali studenteschi, ha ancora il suo fulcro in vie storiche, architettonicamente ricche, abitate da proprietari-residenti ereditari, per la maggior parte, che, chiudendo le finestre e le imposte, al riparo di mura spesse, sarebebro praticamente insonorizzati. La confusione, le goliardate i rumori c'erano sempre stati, ma avevano una connotazione borghese, direi classista, all'insegna delle prepotenze degli "anziani" sulle matricole, secondo un modello in cui le gerarchie erano esercitate, in maniera arbitraria ed egualmente ignorate, all'interno di una società informale, allora, solo nella sua ingannevole esteriorità. Al di là della stesa di bottiglie, che possono essere facilmente rimosse, subito dopo che si sono levate le tende, dalle attrezzature dell'Hera, poco prima che riprenda la deambulazione verso e intorno agli Istituti universitari, ciò che perplime i satolli e barricati residenti è la perdita del valore dei loro immobili. Sì, perché la pretesa di vivere in mezzo a dei ragazzi che sperimentano i loro ultimi anni di libertà e di licenza, in età verde, ma già adulta, è una pretesa autoritaria, vecchia, egoistica, spenta e parruccona, decontestualizzata. Il piccolo dedalo delle antiche vie universitarie, tutt'intorno, alimenta lo spaccio degli stupefacenti: se nelle strade adiacenti, semideserte, si lasciano circolare, ad ore note, furgoni che riforniscono consumatori abituali e numerosi pusher, è scontato che il dettaglio avvenga in Piazza Verdi. Ma non è neppure questo che disturba i residenti: ciò che li sconvolge è che la repressione e l'allontanmento dell'immagine immiserita del contesto teatrale nel quale vivono, venga alterato, senza che la polizia bastoni a sangue quei barbari, parte dei quali, fra poco, saranno dottori, che poi vorrebbe dire semplicemente "dotti" e non "professionisti", come si intende oggi l'esito universitario ed entreranno, per forza d'inerzia, nei ranghi dei conservatori. Ma che cosa devono conservare ora che, a parte, per taluni, le "lontane" origini familiari, non hanno nulla da trasferire in un blasone, in una proprietà, in un'immagine? Sono così diverse le cittadelle delle altre città universitarie storiche nel mondo? Bologna, con i suoi 120.000 studenti immatricolati, ospita un quarto temporaneo dei suoi abitanti in una ridotta piccina, il suo provincialismo intatto svetta e rifulge nella sua meschinità. Per fortuna ci sono gli studenti a contraddire, in ininterrotta rotazione lo spirito settario di un piccolo mondo, di nessuna utilità, tranne che a se stesso.

Nessun commento:

Posta un commento

Sono graditi i tuoi commenti