martedì 14 luglio 2015

Vite di scarto. L'assistenza "aziendale".

Non vi auguro di ricoverarvi o di ricoverare una persona cara a cavallo di un fine settimana e, in particolare, di un fine settimana estivo. Dopo aver superato un eccezionale pronto soccorso - c'ero già stato per un incidente motociclistico e l'ho ritestato oggi, rilevando la solita eccezionale capacità e dedizione. Ma poi si passa nei reparti. Nei..perché il primo ricovero avviene in medicina d'urgenza, un piccolo ambito che non è neppur facile individuare e nel quale convivono giovani e anziani, febbricitanti e agitati, moribondi e cronici in crisi. Non c'è, oggi, un solo posto libero: o si viene dimessi o si muore, mentre il pronto soccorso stesso è ormai un reparto o un corridoio di degenza, nel quale sono stati creati, con delle tende, alcuni box. Le tende separano i letti anche nel locale delle urgenze: se sono aperte non ci sono persone in agonia. Il ricovero è spiccio, brutale. Al ricoverato vengono sostituiti gli indumenti intimi con dei pannolini adesivi, simili, tranne che nelle dimensioni a quelli dei neonati. I medici non si vedono, gli infermieri sono pochi, si muovono con ovattata efficienza e rispondono con calma alle domande dei parenti, riaffermando la disciplina di reparto, che consiste in poche affermazioni/constatazioni: quà ci siamo noi (pochissimi), facciamo noi quanto è previsto, non ci sono uffici interni all'ospedale ai quali chiedere un'assistenza privata notturna, l'accesso di badanti private è per altro libero, anche clandestine. Le ferie sono in corso e il personale è ridotto all'essenziale, i protocolli non lasciano spazi al prigioniero-ricoverato: si muore secondo protocolli più consoni allo svolgimento di un servizio, secondo leggi e regolamenti, che ad un'assistenza a 360° gradi a chi domani potrebbe non esserci più e consuma la sua ultima e disperata lotta contro l'indifferenza di una mansione, assistenziale ingrata e indigesta, nella sua a ziendale ordinarietà. Si, perché le aziende ospedaliere sono delle "aziende".. I reparti sono intasati e molti ricoveri vengono effettuati in "terapie adattabili", dove però i posti sono limitati. Si ricorre alle convenzioni. Alcune cliniche private ospitano, in tempi di crisi, i malati più gravi, ma non in pericolo di vita, che vengono loro mandati dagli ospedali pubblici, per lunghe degenze. I privati soffrono delle restrizioni al reddito; le strutture pubbliche della inammissibili, ma da alcuni anni praticate, chiusure di reparti strategici con messa in ferie del personale medico e paramedico, come in una fabbrica: le fabbriche hanno chiuso e il "lettigal manager" gestisce i posti nei reparti di degenza, dove i lungo degenti, i "critici" e gli urgenti vengono mischiati, anche uomini con donne, pur se non ancora nella stessa stanza. Il personale, nella clinica privata riadattata è composto da due infermiere per piano, uno o altri due fra i piani ( almeno un altro ) e da un medico di guardia, i responsabili di reparto sono in ferie in gran parte e i laboratori restano chiusi nel fine settimana, per cui gli accertamenti slittano e in base alle cartelle cliniche ricevute, si apprestano terapie aspecifiche. Un giovane medico di turno si lamenta: dall'Ospedale pubblico ( di cui cita il nome ) ci attribuiscono anche terapie di.. e di..., per convincere i parenti dei loro degenti, mentre noi ci limitiamo a...., come è sempre stato nelle strutture private. Così, per crisi sopraggiunta, si consuma un'affannosa lotta contro la morte, nell'algida indifferenza e impotenza degli addetti di corvée. L'impressione che le "convenzioni" riguardino i pazienti in via d'estinzione è forte: il reparto sembra omogeneo. Una vocina grida che ha visto il diavolo e sembra proprio la vocina de "L'esorcista", un uomo grida e poi si assopisce, una vecchina tira gli ultimi respiri, passando da un'apnea all'altra. Il medico di guardia sancisce: "penso prorpio che siamo alla fine, se lei vuole ci accaniremo, ma..." No, no, accondiscende "responsabile" la figlia, poi si apparta e piange. Le inservienti devono essere state colleghe della iena ridens di Lugo: "oggi ho smanacciato tanta merda - dice agitando un sacchetto - che voglio dividere la fortuna che ho accumulato con voi" Il n. 8 ha fatto il clistere? Oggi stanno cagando tutti! C'è stato un eccesso di purganti. Quello - l'urlatore - vomita in continuazione: "ciccia", controlla che non sia vomito fecale. No, io per oggi ho già dato, dice rifugiandosi in guardiola. In tutto questo contesto, il paziente "lunga degenza" appare come colui che ha atteso troppo per morire, che costituirebbe un costo eccessivo per prolungare ancora la sua esistenza e che, nella merda, va abbandonato al suo destino, anche se ancora procrastinabile.

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