venerdì 17 luglio 2015

Ciò che conta al giorno d'oggi e per chi conta.

Quando gli Stati nazionali erano ancora sovrani, perché garantiti dal dualismo politico e militare fra i due blocchi, in quelli "democratici e liberali" il peso delle rivendicazioni sociali mitigava e non poco l'egoismo padronale e speculativo dei grandi capitalisti e degli imprenditori bottegai. Più dei primi, a dire il vero, che non avevano interesse a inimicarsi uno Stato altrimenti fin troppo generoso in sgravi fiscali e nell'uso dell'INPS per finanziare ogni cassa integrazione, ordinaria e straordinaria, fino a quella sottobanco, in cambio di assunzioni. L'industria pubblica, in Italia, la faceva da padrona e le banche del tesorio oltre alle tre d'interesse nazionale, orchestravano il ricircolo dell'occupazione, garantita e sostenuta. Si diceva allora - e lo si diceva fondatamente - che le aziende ascrivibili all'IRI, cioè al fascismo sociale erano state una bella invenzione. In effetti, quel residuo di corporativismo, involontario precursore del keynesismo, cioè dell'intervento pubblico, finanziario ed industriale, nell'economia, aveva assicurato redditi decorosi a tutta la parte produttiva del Paese e, purtroppo, assunzioni clientelari, pensioni estorte con pretesti, alle fasce borghesi della società meridionale; non alludo alla grande borghesia post - si fa per dire - borbonica, ma a quella degli impieghi negli enti locali, presso i quali si firmava la presenza e poi si andava, ogni giorno, al mare, di quel piccolo e vanaglorioso mondo di "mestieri non materiali" che prolungavano la loro presunzione nelle lunghe giornate nei circoli degli ex dipendenti comunali, regionali e provinciali, a parlare, con gravità, dell'aria fritta. L'Italia si modernizzò attraverso questo strumento di economia compensata, che costituiva anche il modello di controllo delle assunzioni, delle carriere e dei "pesi" da attribuire alle facoltà da soddisfare e non a quelle che vi aspiravano. Per accedervi bisognava essere "nella manica" del parroco, del maresciallo e di questo o di quel partito, rappresentanti, soprattutto, ma non solo al sud, degli equilibri politici e di costume, "la cultura politica" di quegli anni. Quel mondo è superato e con esso hanno perso di "peso" le rappresentanze sociali, in primis i partiti, in secundis i sindacati. Oggi, qualsiasi contestazione al sistema imposto dalla finanziarizzazione dei rapporti, che sovrintende anche agli interessi gerarchici degli Stati e delle nazioni, viene da movimenti spontanei, o di base, forti solo di un umanistico senso della giustizia soggettiva che infiamma le piazze ma è completamente ignorato, tranne che in termini manganellatori, dai Governi che non sentono più minacciato il loro potere dagli spostamenti dell'asse sociale ( tradotto nei termini delle contese interne ai partiti, come sta avvenendo in Grecia, nelle osmosi o nei ribaltamenti delle maggioranze ), ma ripongono le loro speranze di sfuggire al destino della gente comune, attraverso il mistificatorio e affabulatorio servilismo verso le potenze straniere dominanti in un gioco del domino continentale, i cui scopi, all'origine di una creazione incongrua ed artificiale, non erano stati resi pubblici. Non alludo neppure ai governicchi nominati dalla Troika, come quello italiano, ma ad ogni altro governicchio schienato sul realismo masochistico da riversarsi sui poveri a beneficio di una casta di politicanti senza qualità, che fa oggettivo riferimento alle parti tradizionalmente ricche di ciascuna nazione, sia che si tratti di imprenditori non indebitati e ardimentosi, sia che si tratti dei vecchi reddituari agrari, del nord e del sud, dei discendenti professionali del Gattopardo. La parte moderna della società - la sua stragrande maggioranza - che vive del proprio lavoro, ma anche della propria professionalità, sul mercato, al di fuori da sedimentazioni opportunistiche di interessi, stenta, fatica e spesso non è in grado di far fronte, pur con le sue talvolta "importanti" risorse professionali, ai costi di molti beni o servizi e si trova in difficoltà di fronte a qualsiasi imprevisto. La Destra, che protesta solo contro le tasse e la Sinistra che ha condotto per mano, speculando sulla loro credulità, le masse ex lavoratrici, si trovano ora a cogestire lo sfacelo economico dei popoli meno attrezzati, ma, soprattutto, devastati dalla corruzione, che è la vera causa del loro declino. Nel mondo senza frontiere e senza sovranità autoctone, i Paesi meno attrezzati sono soggetti alle barbariche razzie del capitale internazionale e l'acquisizione delle migliori risorse industriali si può raggiungere tutta in una volta, come capiterà alla Grecia, o sistematicamente e metodicamente come è già capitato all'Italia, che ha visto, per converso, la più grossa industria privata, sfuggire alla morsa del declino nazionale, internazionalizzandosi e lasciando nella ex patria solo alcuni stabilimenti, diretti, rinforzati o chiusi operativamente dall'Olanda, con tasse pagate all'erario del Regno Unito. Cantieri dentro i quali si smantellano i diritti di un'epoca "temporaneamente" trascorsa, da rianimare, per l'esaltazione degli statistici corifei, attraverso l'attribuzione di attività lavorative sempre più a basso costo, riservando le competenze spendibili e le retribuzioni più interessanti, all'emigrazione qualificata.

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