giovedì 29 ottobre 2015

La piccineria intrinseca dei traffichini.

Marino torna sui suoi passi e revoca le sue dimissioni. Punterà su una lista civica alle elezioni. Ma la sua giunta si sfarina: l'apparato del PD, da cui dipendono le fortune dei suoi collaboratori, ha chiamato i nominati alle dimissioni e il Sindaco che le ha subite senza contrastarle all'atto della sua candidatura, rischia di trovarsi da solo al comando, ma, per forza di cose, senza bracci operativi e, quindi, depotenziato. Dalle dimissioni indotte, si passerebbe alla decadenza per mano di un apparato politico, colluso fino al midollo con il malaffare. Il Giubileo alle porte è una foglia di fico: se lo gestisca la Chiesa che, nella sua autonomia, lo ha indetto e si assicuri all'evento sociale il miglior sistema di sicurezza escogitabile, come si fa in ogni parte del mondo, senza invischiarsi in trattative sotterranee che sono squisitamente e impropriamente politiche, tanto è vero che le invadenze politiche ed amministrative derivano da un Concordato che sarebbe ora di superare.. L'appello al popolo sovrano ed elettore, in se e per se, è positivo: la democrazia dovrebbe essere un rapporto sano e revocabile con l'elettorato, ma, nel caso in esame e - temo - in ogni altro caso che si dovesse presentare, si tratterebbe, nella migliore delle ipotesi, di un "patto" fra gentiluomini, fra un'élite, del tutto estranea alla subura malmentosa di cui sono fatte le trame politiche, alle quali sono strumentalmente intessute - nei due sensi - le "aspettative" sociali. Nel caso romano, non escluse quelle più plebee e malavitose. L'Italia non ospita una nobile democrazia, ma una democrazia della pancia e delle ascelle sudate, caciarona, ma pronta ad assumere degli atteggiamenti di serietà e sacertà carnevalesca, ugualmente plebei, non appena ci si paluda di un pretesto, di una carica, di un'investitura, quasi sempre, strutturalmente, clientelare. In questo risiede e su questo "riposa" l'appello di Marino-romano, emulo tardivo e inconsapevole di Cola di Rienzo, nel suo appello alla moralità domestica contro Mafia capitale e rivela la sua ambiguità, comunque ingenua, di un uomo cioè che è disposto ad ogni bassezza, pur di galleggiare sulle acque putride, che, non vuole capire, sono la base e il veicolo della sua investitura. Lui che, medico, volle essere primario con gli unici sistemi in grado di assicurarglielo, poi direttamente esponente politico e infine, per ora, Sindaco della capitale, ovviamente adattandosi consapevolmente ad essere utile strumento di un apparato che lo ha scaricato al mutare delle circostanze. Per questo, la sua lotta di rivalsa non è né utile, né finalizzata al bene municipale. La Roma "immortale", che in realtà ha trecento anni in meno di Bologna, continuerà ad immortalarsi nelle lotte per un potere residuale, e parassitario, clericale e plebeo, dopo la constatazione degli effetti dei "rilanci" mussoliniani. La grandezza, una grandezza fatta anche di soperchierie, si è ridotta alle dimensioni del ricordo. Un bravo medico sarebbe valso molto, molto di più.

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