domenica 25 ottobre 2015

La conservazione della Cultura.

Mentre osservavo sulla rete i filmati sul terribile sgombero del palazzo ex Telecom di Bologna, ho pensato alla campagna mediatica di mesi fa contro gli occupanti di case. Su tutti i principali mass media dilagavano interviste a miti vecchiette che manifestavano il terrore di vedersi buttar fuori dal proprio appartamento. Non a causa dello sfratto esecutivo da parte della proprietà, ma per colpa dell'occupazione da parte di centri sociali e migranti, separati o assieme. Si dipanavano le inchieste, si fa per dire, giornalistiche per spiegare che nella grandi città c'era il racket delle occupazioni di case, che la malavita gestiva le lotte sociali. Puà essere vero in qualche contesto, nel quale la polizia si guarda bene dall'intervenire, verso il quale la magistratura inquirente, portatrice e rappresentante, tempo per tempo, degli interessi prevalenti nella diversa interpretazione della uniforme dottrina giuridica, omette di indirizzarne l'azione. Non era e non è così a Bologna. Così come era esplosa, quella campagna si inabissò improvvisamente nei bassifondi da cui era emersa sulla spinta della grande rendita edilizia. Essa serviva semplicemente a preparare il terreno a quello che effettivamente poi è avvenuto e sta avvenendo. Migliaia di persone che non davano fastidio a nessuno se non alla speculazione edilizia hanno perso la casa, e non perché altri gliel'avevano occupata, ma perché un tribunale e la polizia li avevano sbattuti in mezzo ad una strada. Gli sfratti dei poveri e dei disoccupati sono diventati la prima misura pratica dell'austerità, è così in tutta Europa. In Spagna sono anche più avanti, centinaia di migliaia di persone han perso la casa perché han perso il lavoro e non possono più pagare affitti o mutui. Ora tocca a noi. Torna il diritto di proprietà nella sua forma più infame e brutale, quello raccontato da Dickens nell'Inghilterra dell'800, quel diritto che cancella tutti gli altri e che pone le persone al di sotto delle merci. Il diritto di proprietà oggi reclama per sé potere assoluto come i sovrani prima della Rivoluzione francese. Il palazzo ex Telecom, abbandonato, era stato pulito e riassettato dalle famiglie occupanti, che ci vivevano nel decoro con i loro bambini, che frequentavano regolarmente la scuola. Ma un fondo privato proprietario dell'immobile ne reclamava da tempo la piena disponibilità per i suoi spregevoli affari. Un tribunale ligio al potere dei ricchi ha incaricato così la polizia di procedere. Così abbiamo visto scatenarsi, contro famiglie e bambini, una ferocia che una volta avremmo detto da terzo mondo, da terzo mondo interiore, ma che ora è parte della nostra società. Perché non si può sbattere in strada i poveri senza essere feroci. Se ci si commuove, se si sente il richiamo della umana solidarietà o anche solo della pietà, certe cose non si possono fare e magari le persone rimangono lì dove non dovrebbero stare. Così ho capito che la campagna mediatica contro gli occupanti di case non aveva solo lo scopo di creare consenso verso gli interessi fondiari. Essa faceva parte di un messaggio più profondo e diffuso: l'educazione alla ferocia. Da trenta anni le nostre società occidentali stanno distruggendo diritti sociali nel nome della produttività e della competitività. Ogni giorno la società viene presentata come una savana, uno "stato di natura", ove vincono i più forti e i più deboli perdono per colpa loro. Perché non sono abbastanza feroci, o, se appartenenti alle classi subalterne, perché non si organizzano come un manipolo di ominidi. L'idea stessa dell'eguaglianza sociale viene messa all'indice delle utopie dannose. E con la crisi economica questa ideologia si è radicalizzata. Compito dei "più forti" non è tanto vincere, ma semplicemente sopravvivere. Sia ben chiaro: devono accontentarsi. Non c'è lavoro per tutti, scuola per tutti, Stato sociale per tutti, casa per tutti. Non c'è posto per tutti. Non lo urlano solo razzisti e fascisti, lo proclamano con le loro politiche economiche tutti i governi dell'austerità. Così l'ideologia della competitività diventa giustificazione dello scarto. Lo scarto degli esseri umani comincia nelle guerre promosse e alimentate in paesi lontani e poi continua con i fili spinati e i campi di concentramento per i rifugiati di quelle guerre. E poi prosegue nelle città, togliendo il diritto ad abitare, a lavorare, a vivere, in condizioni di essenziale modestia, a riproduzione dell'Italia del dopoguerra, delle immagini cinematografiche del neo-realismo, nelle quali i poveri eravamo noi, mentre oggi vestono in fogge diverse, ma sono sempre strumenti, essenziali al benessere di altri. Non è semplice scartare le persone se queste sono come noi, soprattutto se le sentiamo come noi. Bisogna sentire altro da noi chi vogliamo abbandonare al suo destino. Per questo bisogna educare alla ferocia alimentandola con il razzismo verso i poveri. Poveri, migranti, disoccupati, criminali devono essere accostati e collegati nell'immaginario collettivo, in modo che sia possibile non giudicare atto indegno dell'umanità lo strappare con la forza un bambino dal luogo dove vive e riceve - si spera - gli affetti. I bambini ci guardano ma guai a noi se li guardiamo a nostra volta. Potremmo non essere più feroci - ma purtroppo non è neppur detto - come ci viene richiesto. Così nessun telegiornale ha trasmesso le immagini che ho visto in rete dei bambini trascinati via in lacrime da casa loro. A Bologna non c'è stato semplicemente uno sgombero, c'è stato un pogrom di Stato che ha ancora alzato l'asticella della ferocia sociale. Proprio in questa mia città dove in un passato sempre più lontano, in circostanze storiche complesse e contraddittorie, in maggioranza amministrativa e minoranza politica e quindi non distratto da intenti egemonici, il movimento operaio, di quella classe lavoratrice oggi dispersa e quindi scomparsa, aveva costruito eguaglianza e libertà, proprio quì si è voluto dare dimostrazione, un'altra significativa dmostrazione, del mondo "nuovo" dello scarto. E lo si è fatto nel nome del rispetto della legalità, paravento dietro il quale si sono spesso nascoste e tutelate le maggiori infamie. Ribellarsi contro questa legalità che impone l'ingiustizia e educa alla ferocia non solo è necessario, ma è il solo modo di restare umani.

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