mercoledì 27 novembre 2013

Teatralità morali.

Silvio Berlusconi è decaduto. Se fosse stato un parlamentare qualunque non se ne sarebbe accorto nessuno, ma i parlamentari comuni la sfangano sempre. Sono portatori di interessi e di voti locali, sono al massimo potenze regionali e apportano suffragi ed interessi tangibili a questo o quel partito. Li mettono in palio. Laddove ci si stracciano le vesti e si accusa, si denuncia, si svolgono solo contese d'apparato che, se fossero solo supportate dalla morale e dai principi, morirebbero con il loro porponente. Dopo la condanna definitiva del leader di Forza Italia, il partito dimezzato nell'imminenza della messa in mora del suo tutore ventennale, all'ombra dell'Europa che conta, i soliti figuri cercano di riposizionarsi sotto la geriatrica regia di Giorgio Napolitano. Berlusconi ha meritato di decadere, ma se fosse stato solo per i suoi demeriti o se non fosse stato rimosso dalla Merkel e dal moribondo Sarkozi, sarebbe ancora al governo. Invece ha dimostrato di non potersi contrapporre ai suoi elettori sul piano fiscale e ha indebolito la sua capacità di mantenersi al potere, fino ad annullarla ed a farsi espellere. la sua reazione è stata debole, contraddittoria, arrovellata. Senza le larghe intese, il suo partito non si sarebbe diviso, senza il diktat europeo lui sarebbe ancora lì a menare il torrone. L'espulsione dai ranghi parlamentari non gli inibisce la rappresentanza politica, ma il gioco parlamentare gli assegna un ruolo marginale ed estremistico solo perchè è stato fatto uscire dai ranghi, rimanendo nei quali, pur con tutte le intemperanze che conosciamo, avrebbe ancora molti sodali e indomiti sostenitori. E' bastato invece che che la sua leadership declinasse, perché i suoi parlamentari e i suoi ministri, fra i quali tanti sono i democristiani a cui, prima della discesa in campo, offrì i buoni uffici dei suoi organi d'informazione, senza trovare il consenso dell'allora segretario di sinistra Martinazzoli, allorquando i democristiani si divisero equamente fra i due schieramenti prevalenti. Toccherà ad un presidente comunista realizzare un sia pur anomalo governo di unità nazionale e, su quella base, tramare efficacemente, come non era riuscito ad Oscar Luigi Scalfaro. La magistratura non ha agito politicamente; se così avesse voluto, lo avrebbe graziato, lasciando all'ostracismo europeo e alle sue ricadute conformistiche, il compito di logorare ed esiliare il padrone del partito-azienda, senza fornirgli un'aurea guerrigliera, che più latina non si può. Invece ha condotto a termine i suoi percorsi procedurali e gli ha fornito una sia pur periferica sponda. L'espulsione è solo un'ipocrita sanzione falso-moralistica. La politica di sopravvivenza, la scuola di resistenza senza (vana)gloria, è l'arte di quel mantenuto a vita e non per ventenni vari, che è il prototipo di un rappresentante istituzionale di pretesti or nazionali ora addirittura europei. La caduta del "tiranno" non sposterà di un'acca la realtà effettuale e la condizione del popolo festante.

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