venerdì 22 novembre 2013

Retroscena.

Se le dimissioni di Silvio Berlusconi furono dovute a una sorta di ingiunzione all'Italia a contraddire ogni politica autonoma e l'impennata dello spread, oggi attutita e non avvertita, era succedanea alla ingenuamente ventilata intenzione del leader democraticamente eletto e insignito di uscire dalla moneta unica, andrebbero rivisti molti dei giudizi, fondati su formulazioni parziali, insufficienti e rincarati da distorsioni ad hoc. Personalmente credo che il Cavaliere sia responsabile di molte delle accuse che gli sono state rivolte, che la sua politica sia principalmente affaristica e dinastica, ma la sua decadenza è coincisa con la lettera di commissariamento della Unione europea, i cui contenuti non sono mai stati resi noti. Già questo basta a inficiare la legittimatà dei Governi che si sono succeduti e dell'unica linea di acquiescenza, garantita da Giorgio Napolitano e dal PD. Non credo che la magistratura si sia inventata le accuse, pur sapendo che da quarant'anni, pronubo il deputato Violante, si è divisa in frazioni organizzate, all'interno delle quali la "politica giudiziaria" è certamente presente: è però un fatto che, fino alla caduta dei blocchi contrapposti ed alla messa in mora del PCI, non si era mai mossa, pur in un contesto di corruzione sedimentata e ben avvertibile anche al livello del popolo. Il moralismo, non del tutto alieno da ambizioni, dei giudici di rito ambrosiano, accompagnò il cupio dissolvi di strutture economiche e finanziarie che, pur corotte fino al midollo, distribuivano ricchezza e non erano costrette alla meschina usura comportata dalla ricerca spasmodica del profitto di nuclei ristrettissimi ed insignificanti in termini di macroeconomia. Il pampa-Papa si corregge, recalcitra, controriforma il suo dire, invero poco credibile, nella versione che ne è stata riportata sulla Repubblica e sulla Civiltà cattolica. Troppo soggettivismo, troppo demando alla coscienza, forse troppa condiscendenza, ora corretta, verso un mondo progressista, intriso di giacobinismo o marxisteggiante. Nom mi ha sorpreso. Al Papa non cattolico non avevo mai creduto, ma mi si ripresenta alla mente quella sensazione che ebbi all'atto della sua elezione: non mi piacque; non mi piacque la sua scenografica volontà di osmosi col sentimento ingenuo del popolo, non dissimile a quello del da lui tanto ammirato Papa polacco, che però era un "nazionalista" ecclesiastico. Il gesuita francescano mi era sembrato un demagogo astuto ma insidioso, come la società latina dalla quale proviene e della quale anche noi facciamo parte. Si decida: adesso è in Europa, sia pur nell'ambito di un'Europa minore. Non pensi di poter dire e poi disdire. O forse si, alla Berlsuconi, altro ottimo comico, con tendenze troppo godereccie per essere minacciose. A differenza dei Papi e di quelli "pampa", in particolare. A Genova, gli autoferrotranvieri conducono un'ultima disperata battaglia contro lo spezzettamento privatistico del loro lavoro. Ormai le lotte dei lavoratori si sono ristrette alle categorie e, per questo, sono destinate a fallire e poi a trascinarsi indefinitamente per tutte le ricadute professionali e retributive che la privatizzazione delle tratte centellina nel reticolo urbano, senza che una visione complessiva, un senso di appartenenza civico prima che professionale, possa cementare politicamente la resistenza alla deframmentazione della classe subalterna. Un uomo di mezza età, con un fucile a pompa, un'arma simile alle "canne mozze" ma ad avancarica, che ne condivide l'effetto esplodente sul bersaglio e rende, quasi sempre, mortale anche una ferita "periferica", se ne va a spasso per la caliginosa, ma affascinante Parigi pre invernale. E' ordinato e vestito sportivamente, si presenta come reduce dal carcere e, dopo essere entrato...spara. Agisce nel cuore della metropoli francese, ma meglio sarebbe definirla internazionale, dato che, dei dieci milioni di cittadini che la popolano, solo tre sono francesi. E' stato chiaramente ripreso dalle telecamere del quotidiano della "gauche", divenuta estrema per la mancanza di concorrenza: una specie di Manifesto transalpino. Ma, mi pare, che si sia presentato anche in un altro immobile, dove non è riuscito a mandare in coma un altro povero malcapitato, nella fattispecie un fotografo, probabilmente freelance. Costui, a quattro giorni e mezzo di distanza dalle sue documentate imprese, gira libero o se ne sta acquattato da qualche parte, con il suo compagno-fucile, pronto all'uso estemporaneo, ma non per questo prossimo. Forse se ne sta rintanato in una della spaziose mansarde, sotto i tetti altissimi, che, da ultimo, Simenon ha tante volte evocato nei suoi improvvisati romanzi, eppur ricchi di sfumature. Parigi, in questa stagione, è fatta di brume che proteggono dalla confusione e dal coinvolgimento nelle vicende individuali. A sera, i clochard si stendono sulle grate di sfiato del riscaldamento delle case e degli empori: non uccidono, muoiono così. Anche le pattuglie della polizia non si fermano per parlargli. La Ville non soffre del terrore che le viene attribuito. La vita vi si svolge senza nessuna interruzione e senza particolari cautele. E' un contesto distaccato, nel quale la possibilità di incontrare il gratuito assassino e, soprattutto, di esserne il bersaglio, è remota e affidata al Caso. Non sarà per la paura di vederlo irrompere in platea che il Moulin Rouge sospenderà i suoi spettacoli, nel Teatro che è diventato monumento nazionale di Francia e le vecchie signore sole, senza denti ma marcatamente truccate, continueranno a sedersi a pranzo, la sera, da sole, masticando con le gengive e mettendo in moto tutti i muscoli del viso. Hanno fermato un ragazzo. E' calato il silenzio, ma non è stato incriminato. Potrebbe anche non colpire più e svanire nell'immortalità di un'istantanea. E' un étrangere, un estraneo metropolitano.

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