lunedì 11 novembre 2013

Labirintite.

Siamo davvero immersi in un'economia globale? Più che altro. siamo nella salamoia di una nuova ideologia, che nega le precedenti. Niente è, infatti, il prodotto di un gesto creatore, bensì un processo storico, lento e contraddittorio. Non è affatto chiaro se e quando si potrà dire di aver raggiunto un punto di approdo definitivo, mentre non vi sarà mai un momento nel quale il processo in corso si completerà definitivamente. Soprattutto perché questo processo si svolge attraverso un mondo geograficamente, climaticamente, culturalmente e storicamente diverso. Inoltre, la cosiddetta globalizzazione non opera nello stesso modo in tutti i campi dell'agire umano. Se, dal punto di vista della tecnica, delle comunicazioni e dell'economia - su quest'ultimo argomento, con molte riserve - l'uniformità espansiva è evidente, non è così negli usi e nella politica. Non parliamo, ovviamente, della politica italiana. L'unico dato certo, rimanendo ancorati alla realtà capitalistica evoluta e dei soggetti che detengono, in ogni parte del mondo, i capitali, si è verificata, in via di fatto, la liberalizzazione dei mercati dei capitali stessi, che consentono loro di andare ovunque trovino una remunerazione più alta. Avevamo già conosciuto questi fenomeni di capitalismo prima della Grande Guerra ('14 - '18 ). Ci fu, allora, una movimentazione di capitali, beni e lavoro, senza vincoli. Siamo oggi tornati ai primordi del capitalismo. La differenza consiste nell'impossibilità, in quei tempi, della planetaria dislocazione della produzione dei beni, che restavano legati al territorio nel quale venivano prodotti. Si noti bene che, a quei tempi, un fattore preponderante, che rendeva globale quell'economia, era l'emigrazione di massa di quelle popolazioni che erano condannate all'indigenza, emigrazione che, sia pur con tutti i controlli ( inutili e solo mortificanti per chi vi veniva sottoposto ) era necessaria e richiesta alla produzione ( come ancora avviene, di nascosto ) come era allora concepita. I processi informatici hanno trasformato il mercato finanziario internazionale e hanno prodotto un totale squilibrio tra l'economia reale, la produzione di beni e la fornitura di servizi reali e il fiume di derivati, diritti, scommesse. La dimensione di questo ciclone è di molte volte superiore al prodotto totale del globo. Una finzione speculativa, dunque. Ma non esiste, neanche per scommessa, che tutti gli abitanti del globo possano usufruire delle stesse risorse e opportunità e, quindi, possano avere la stessa possibilità di accesso ai beni e ai servizi prodotti in ogni angolo del mondo. Le persone , infatti, dispongono di risorse differenti ed è cura minuta dei detentori dei capitali di ridurgliele per aumentare le proprie. Quindi, alcuni sono e restano ricchi, altri sono e restano poveri e, per conseguenza, il loro potere è ineguale; molti sono liberi, moltissimi, in varie forme, non lo sono. Se la globalizzazione significa un più ampio accesso, non comporta un'eguaglianza di accesso per tutti. Per questo, la mistificazione globale, mentre propaganda una vana aspirazione a tutti i prodotti del mondo - soprattutto a quelli immateriali - il mondo resta, invece, ineguale e diverso, in parte per sua natura, molto per celata volontà egoistica. C'è, dunque, una tensione tra due astrazioni: si ripropone un denominatore comune, accessibile a chiunque, per ottenere cose altrimenti, in gran parte, non conseguibili. Quel denominatore è il denaro, cioè un'altra astrazione. Il processo globalizzatore richiede un alto grado di standardizzazione e di omogeneizzazione, senza porsi i limiti della loro tollerabilità, cercando anzi, con prepotenza, di imporli e basta e proponendosi di escludere gli inadattabili, configurando così un non nuovo razzismo culturale e, potendo, pratico. E' un modello utopistico e totalitario che non vuole tener conto che il mondo è, per sua natura, irriducibile all'uniformità. Oltre quale soglia genererà forme di reazione non riducibili ad una ricaduta nel collegamento informatico delle organizzazioni e dell'informazione che vi sottende, nel coordinare transnazionalmente le manifestazioni, come evidenziato nei movimenti dal basso, nel sindacalismo di base, fra gli indignati e i vari occupy, nelle primavere arabe, anche se declinate in un temporaneo autunno. Fino a che punto l'omologazione potrà essere combinata con la multiforme varietà del mondo? Lo strumento attraverso il quale si cerca di condizionare le coscienze e la loro libertà è un'entità esogena che con la coscienza non ha nulla a che fare: la tecnica. La globalizzazione è essenzialmente un processo tecnico, al quale si oppone e non da oggi, lo spirito umanistico e la religione cattolica. Papa Francesco non dice, né potrebbe, nulla di originale. Il confronto tecnico fra tecnicisti e cattolici dura da vent'anni, incompreso ai più, compresi i cattolici tecnicisti. Ricordate quando la Bipop-Carire, prima in Italia, rastrellava clienti, consentendo loro di agire in tempo reale, da casa loro, sul Nasdaq? Ebbene, fu una nostrana replica propagandistica dell'opportunità "democratica" di condividere il banchetto globale per i singoli individui. Si trattava di condividere solo il menu. La Bipop-Carire non c'è più; non c'è più neppure la Holding che la rilevò, Capitalia, dopo che fu scoperto che la Bipop truccava i dati e i bilanci della sua manus finanziaria, la società Azimut. Ai clienti modernisti, emuli di quelli nord-americani, non restarono che macerie di perdite. Comunque, imperterriti, i piazzisti finanziari continuano a raccontarci che il libero mercato massimizza ( dicono proprio così ) la crescita e la ricchezza del mondo ( avendo a riferimento il loro ) e produce una distribuzione ottimale ( per chi? )dell'incremento che, per essere realistico, dovrà pur contemplare un decremento altrove. Guai a volerlo regolamentare. Per questi profeti, quello che conta è il totale di ricchezza prodotta, senza riguardo ai modi in cui è distribuita. Asseriscono, implicitamente, che la distribuzione attuale dei vantaggi non può che restare immutata e che non possa essere migliorata. Ma non è così. Questa concezione è del tutto speculare a quella vigente nel comunismo sovietico, nel quale a ciascun Paese compreso nella sua orbita territoriale intrastatuale veniva imposto di produrre certi beni ad esclusione di altri, in base all'assunto che una produzione programmata, pianificata, avrebbe da sola omogeneizzate e rese complementari le economie. Era, come il nostro attuale, un sistema totalitario, anche se non mercantile, solo un poco più ingenuo ed elementare che non selezionava ruoli e opportunità, da scambiarsi, secondo il criterio del minor costo, a "costo", invece, di uno squilibrato, non innovativo sviluppo ( si fa per dire ) dell'economia mondiale.

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