giovedì 14 novembre 2013

Pauperismi a confronto.

I dipendenti guadagnano di più degli imprenditori. Non è una novità. Già ventisei anni fa, l'allora Ministro delle finanze, l'austero e ruvido Visentini, nato e cresciuto nell'officina Olivetti, repubblicano storico, proruppe in un'espressione poco ministeriale: che schifo!!, di fronte alle statistiche del suo Ministero. Da allora, ma anche da prima, è sempre stato così e ogni anno la stessa notizia è riportata e stucchevolmente commentata. Stucchevolmente, perché nulla si fa, in concreto, per ribaltare i termini di queste dichiarazioni e documentare da dove derivino le ville in zone elitarie, al confronto degli alveari periferici. Quest'anno, anno di crisi, il reddito medio da lavoro dipendente si attesta sui 20.000 euro; il reddito imprenditoriale intorno ai 19.000. Rispetto ai redditi da insussistenza che talvolta gli imprenditori riuscivano a presentare, nei periodi d'abbondanza, la forbice fra i dipendenti-profittatori e i generosi erogatori si è ristretta ad una solidale spartizione alla San Martino, nella quale i poveri imprenditori e i un po' meno poveri lavoratori, si fanno vicini per resistere al freddo incombente e dividono un tozzo di pane. Deve essere per questo che sostano a lungo insieme, dopo l'orario di lavoro, nella bottega padronale, piuttosto che presso la loro famiglia, per procacciarle il pane, il miele per le ville e quello rancido per gli alveari. L'unico dato statisticamente non mascherabile riguarda i 15.000 euro annui medi dei pensionati, a dimostrazione che l'abbandono precoce del lavoro aumenta a dismisura lo svilimento del reddito nel tempo, soprattutto se è un reddito modesto, parallelamente al generico e sporadico salario che i figli percepiscono e che li fanno gravare, fino ad annichilirli, sugli sprovveduti genitori, che sono fuggiti dalla sgradevolezza di una vita, per conoscerne un altra peggiore, dopo essere usciti improvvidamente dai giochi. Chi ha condotto la sua vita nell'ambito di un sistema, non può comprendere, né coniugare quel modello con le prospettive - quali che siano - di un giovane, che, dall'Italia, dovrebbe cercare occasioni all'estero se non ha solide fondamenta familiari in patria, mentre le famiglie diseredate, per la maggior parte, così irrazionalmente costruite e gestite in una progressiva tristezza da rinuncia, non possono che dar luogo ad accampamenti di povertà, prima e poi di degrado morale. Almeno nella parte già industrializzata del Paese. Altrove vigono diverse forme di gerarchia, borboniche o di strada. Diceva il poeta Edoardo Sanguineti che i poveri fanno bene ad odiare i ricchi, perchè ne sono, a loro volta, odiati. Sarebbe ora di prenderne atto, sia che si sia ricchi, sia che si sia poveri. E' in mezzo che ci si confonde. Per questo, smettiamola di considerare il lavoro una dannazione biblica, a dannarlo siamo noi con i nostri inavvertiti comportamenti competitivi e sulle cui divisioni prospera il povero padrone, che ci offre anche la consolazione di pensare che al mondo, c'è chi, così vicino, sta peggio di noi.

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