domenica 10 novembre 2013

Derive.

Le indeterminatezze della globalizzazione e le dissimulate forzature degli ultimi vent'anni, continuano a modificare, in termini apparentemente casuali, i nostri paesaggi, nei quali eravamo abituati a gettare le nostre ancore. Rimescolano le persone e sconvolgono le loro identità sociali. Nelle loro forme più crude, prendono le sembianze dei migranti, che sono odiati perché ci trasmettono un senso di paura, che ci induce sulla difensiva per non correre il pericolo di incappare nella loro sorte, nella loro stessa perdita di identità. Costoro sono scarti delle loro comunità, non hanno più, in quell'ambito, nessuna possibilità di sopravvivenza e si illudono, per l'ultima volta, di trovare opportunità o ricetto, non necessariamente limpido, in realtà nelle quali non sono previsti, se non come occasionale strumento, di ogni genere. Scarti, dicevamo, espulsi perché rifiutati. In quella condizione di sradicamento che ne marchia e depriva la psiche, può essere compiuta su di loro ogni sorta di crudeltà, indifferentemente e impunemente. Sono persone derubate della loro identità e della loro autostima. Per non "vederli", adesso che sono tanti, troppi per consentirci di cavarcela con "fioretti" solidali, "dobbiamo" relegarli in campi di concentramento e poi deportarli. Non devono ricordarci l'ingiustizia che li ha prodotti. La prassi concreta del capitalismo, accompagnata dalla sua propaganda "culturale", ci è stata restituita nella sua primordialità e ha provocato la definitiva esclusione degli schiavi potenziali, se fossero appartenuti alle generazioni che li hanno preceduti, ha favorito l'arricchimento esclusivo di criminali sfruttatori, non intaccati dalle rare e occasionali sanzioni che colpiscono qualche elemento intermedio ed imprudente. Per noi, del cosiddetto mondo integrato, l'obiettivo professionale che altri sfruttatori hanno prefigurato e ormai quasi raggiunto, consiste in tempi minimi d'impiego e in un sistematico depauperamento del nostro reddito. Ad esempio, nella Silicon Valley, vivaio di tecnologia, è attualmente di otto mesi il tempo massimo d'impiego rilevato, per ogni categoria e competenza messa a profitto. In queste condizioni, già intrinseche al nostro ambiente giovanile, pensare a lungo termine è fuori questione. Se non c'è pensiero a lungo termine, se non ci si può aspettare di rivedersi, non si può più provare un senso di destino condiviso, un'esigenza di fare fronte comune e i rapporti che ne scaturiscono sono fragili. Avvertiamo la mancanza delle reti di sicurezza che erano costituite dalla connessione fra simili, amici e fratelli di destino. I mercanti di consumi sono sempre in agguato per estrarre le emozioni da questo habitat affamato di tempo e fatto di rapporti che si restringono e le reinvestono in beni di consumo. La promessa pubblicitaria è che ci libereremo, tramite loro, dai compiti gravosi, che ci risparmieremo il bisogno di sacrifici e dalle concessioni che qualsiasi legame diretto necessariamente comporterebbe. Ci offrono di poter recuperare eventuali "perdite" attraverso la frequente sostituzione delle merci, con altre potenziate e quindi, chissà perché, più seducenti.I beni di consumo rappresentano una mancanza di finalità, una revocabilità delle scelte, una totale "fungibilità" delle scelte medesime. Ci raccontano sempre la stessa storia: che nessuno ( tranne loro, i soliti vincitori ) è indispensabile perché l'utilità potenziale è diffusa e quindi sostituibile, se vincoli, lacci e lacciuoli non la stabilizzano, che un essere umano è di qualche utilità per altri esseri umani, soltanto a condizione di essere sfruttato a loro vantaggio; che la pattumiera, destinazione ultima degli esclusi è la prospettiva naturale per chi non si adegua più e non "desidera" più essere sfruttato in questo modo. L'esperienza storica appena superata, nella sua formulazione sociale, aveva mirato all'inclusione , ad integrare le persone, metterle in riga e tenercele. Nell'attuale, liquida, si mira invece all'esclusione, ad individuare le persone che non si adattano al posto loro assegnato, a scacciarle da lì dove si trovano e a deportarle " dove è il loro posto", a non consentire la loro vicinanza al "sacro suolo" delle nostre cerimonie confermatorie, al nostro contesto di incasellati, seppur complessamente stratificato. Vengono compilati elenchi di persone da emarginare, a cui rifiutare credito, esuberi da consegnare a un limbo non più salvaguardato. Quante affinità con i pogrom! La comunità si è recintata. Al suo interno, per potervi rimanere, si fanno i guardiani, le spie; le invadenti telecamere servono a tenere fuori gli indesiderabili. Di tutte le sinergie, la più congruente è quella fra il sistema inclusivo e quello esclusivo. Il precedente modello di monitoraggio e "reclusione" ha spostato il suo raggio di applicazione alle zone off-limits. La sua ratio resta immutata: tenere "dentro" le persone e metterle in riga ogni volta che escono dai ranghi. E' una funzione secondaria, derivata, supplementare del vigente sistema dei rifiuti. I due sistemi interagiscono nel pattugliamento dei confini fra il "dentro" e il "fuori". Insieme abbracciano l'intero universo sociale. Una delle funzioni del primo sistema è di farci accettare le miserabili e immiserenti attenzioni del secondo, offerto come una delle tante falsificazioni che si vendono, nelle apparenze di una salvezza, di una operazione di salvataggio, in una ebetudine frustrante. Una sorta di "liberazione" penalizzante e relegatrice. Guardatevi bene dai consigli e dalle consulenze non richieste. La scelta si riduce fra il restare in riga e l'essere rifiutati. Un gioco combinato fra l'inclusione coatta e l'esclusione obbligatoria. Ci siamo impegnati, abbiamo lottato contro i muri, le torrette di guardia, i recinti e ci siamo riusciti. Adesso, a tutti noi che viviamo insieme questo tempo, ma soprattutto a chi, in prospettiva, ne marcherà il tragitto più lungo, spetta di sconfiggere la trama perversa che vorrebbe condurre le nostre vite nella spirale dell'inclusione coercitoria e ripetitiva per veicolarci nell'esclusione, già prevista e programmata al momento dell'accesso e a farcela subire come l'unica forma che si possa dare. Ci spetta di sconfiggere la deriva del disumanesimo che ci affligge.

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