giovedì 6 giugno 2013

Mihi aptus est.

I processi, che si avviano a conclusione, a carico del leader incontrastato del PDL, mi richiamano alla mente storie di retrovia, che attestano la non imprevedibile costanza di un costume anacronistico e decadente di uomini ricchi e anziani, che ne fanno un elisir di dimenticanza della morte incombente. Del sistema prostitutivo milanese mi parlò tanti anni fa un mio collega, di rigorose convinzioni morali. Era stato infatti seminarista, poi, constatato che l'immagine femminile non smetteva di tormentarlo e temendo, a ragione, di non essere nella condizione, di bypassare in via di fatto i canonici impedimenti, si era sposato. Era rimasto molto represso e ancor preda di fantasie verso le belle creture del Signore, compreso un maschietto efebico verso il quale non nascondeva la sua ammirazione che rimase sempre, come per le femmine, sul piano estetico-contemplativo. Ebbene, costui, che aveva lasciato a sedici anni il seminario, senza conseguire il diploma, come invece facevano tanti opportunisti, che vi conseguivano anche la laurea, prima di scoprire che la vocazione ecclesiastica non faceva effettivamente per loro e rimanendo legati alla bottega cattolica, diventavano spesso fra i più laidi maiali, che ipocrita mente possa dissimulare. Di questi, ne ricordo in particolare uno, deputato democristiano per una legislatura, poi presidente d'ente pubblico, che si accreditò come satiro di servette, impiegate e raccomandatrici per pur modesti impieghi. Ebbene, questo caro amico e collega, di nome Riccardo, aveva iniziato la sua carriera bancaria presso la sede milanese di I.B.I. banca, che a Bologna occupava la palazzina liberty di via dell'Indipendenza, precedentemente sede della Majani. Riccardo faceva il commesso d'anticamera del direttore di sede della banca meneghina e, da costui, veniva coinvolto, nella ricerca di una servile complicità, che non gli accordò mai, in confidenze e poi in inviti a condividere con lui non solo la macchina di servizio con autista per tornare a casa la sera, ma anche certi ambiti, per frequentare i quali si adducevano impegni improrogabili di lavoro, in famiglia. "Dai, Riccardo, ci sono delle ragazzine che sono più giovani delle mie figlie". Aveva colto la debolezza per i desideri rimossi e rimasti inappagati e repressi dal Super Io, cattolicamente condizionante. Ma gli aveva rivelato un mondo collaterale a quello dell'immagine pubblica, riservato ai benestanti, ma certamente sempre esperito gratis nella fase formativa di siffatte personalità, praticato in alberghi, alimentato da ragazze stupide e perverse, prima che bisognose, ma mai perverse come i loro clienti e neppure altrettanto stupide. Riccardo scendeva a casa, talvolta il direttore proseguiva e si attardava altrove. Le descrizioni, giornalistiche e giudiziarie sono ancora strettamente attinenti ai racconti di Riccardo. Sono cambiate le protagoniste strumentali e strumentalizzatrici, si sono autoriprodotti, come una razza di amebe, i lenoni e i ruffiani. Riccardo poteva tranquillamente essere un prototipo di una vasta congerie di cittadini morigerati per condizione economica, per serietà di impegno familiare, per principi interiorizzati eppur solleticati dal demone che non aveva trovato espressione, una sorta, per loro, di diavoletto che avevano sconfitto o ritenuto di aver sconfitto, ma che non aveva smesso di suggerir loro una qual nostalgia, che non aveva, soprattutto, avuto occasione e possibilità di manifestarsi o che, come nel caso di Riccardo, quando sembrava sul punto di potersi concretizzare, veniva respinta al mittente, per la zavorra del suo sistema valoriale, ma anche per un senso di inadeguatezza alla situazione prospettata, una sorta di: "non è per te".

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