mercoledì 16 dicembre 2015

Cronache italiane.

Con la morte di Armando Cossutta e di Licio Gelli si chiudono due pagine della storia recente dell'Italia: quella del più grande partito comunista in un paese assegnato, a Yalta, all'occidente e la carriera all'italiana di un rappresentante di materassi. Armando Cossutta è stato, fino alla fine del comunismo, il referente economico del P.C.I. presso l'Unione sovietica; attraverso le sue mediazioni sono passati milioni di dollari che la patria del comunismo ha destinato, fin quasi alla fine, al partito fratello, destinato a non governare mai, ma che aveva espresso il commissario politico internazionale più influente, dopo il Segretario generale del PCUS: Palmiro Togliatti. Intendiamoci: Togliatti fu il più algido, cinico rappresentante dell'ortodossia "in partibus infidelium". Non ci credeva, ma "realisticamente" la interpretava. Così facendo assicurò al suo partito, in Italia, una lunga sopravvivenza e influenzò a lungo - per paradosso, positivamente - la politica nazionale. Armando Cossutta ne fu l'erede e l'emblema postumo; fino alla fine del P.C.I. e anche oltre. Quando si presentava in Senato, anche dopo il suo abbandono della politica parlamentare, era sempre eretto e distante, come se ancora rappresentasse un potere allogeno, ma reale. In un certo senso, non accettò, non solo la politica berlingueriana ( Berlinguer patì un attentato a Sofia, sul quale fu fatta calare una coltre di silenzio ) che, effettivamente, iniziò l'abbandono dell'approdo storico deella sinistra italiana o almeno della sua maggiore rappresentanza, poi si attardò retoricamente nella "rifondazione" autoctona, che assomiglaiva al rudere albanese durante la guerra fredda. Cossutta è stato un uomo sopravvissuto a lungo alla sua fede e formazione storica, la quale ha avuto la serietà di non riprodursi in qualche camaleontica trasformazione, come fecero i cattocomunisti del PDS, antesignani del PD. Personalmente non attribuisco nessuna veste di sinistra, che non sia ridicola, al PD, come non l'attribuivo al cattolico Ulivo. Io, che non sono mai stato comunista, ma attento al fenomeno, agnostico "studente" del fenomeno e che, per questo, sono sempre stato, alla lunga, inviso sia ai reazionari ( cosa di cui mi onoro ) sia ai comunisti che non mi potevano vedere, proprio in quanto - ritenevano - eretico eppur dialogante sul loro medesimo terreno, estraneo a qualsiasi conformismo e indifferente al potere totalitario da loro perseguito. Licio Gelli, dopo la guerra, ad Arezzo, faceva il rappresentante per la Permaflex. Durante il conflitto era stato una spia, bene informata, dei nazisti, dei fascisti e, per le sue conoscenze acquisite in loco, anche degli anglo-americani, durante la risalita dell'italia. Costoro, empirici, non andavano tanto per il sottile nel scegliersi i collaboratori, come dimostrerà la rapida carriera di tanti funzionari nazisti, se dotati di competenze utili: Von Braun alla NASA, Henry Kissinger in diplomazia, quasi esclusivamente sul versante conservatore. Per alcuni anni Licio Gelli tracheggiò in Toscana, poi eccolo comparire sulle pagine della collezione patinata della rivista "Epoca", all'inaugurazione degli stabilimenti bolognesi della Ducati - oggi in mano all'AUDI tedesca - a fianco del giovane Giulio Andreotti, sotto segretario alla Presidenza del Consiglio e dell'allora amministratore delegato del validissimo marchio motociclistico, Umberto Ortolani, gran massone, ma già anziano, che si trasferirà pochi anni dopo in Uruguay, per morirvi. Probabilmente, fu Ortolani il fondatore della P2, di cui Andreatti fu il regista e Licio Gelli il manovratore, il burattinaio. Il Piano di rinascita italiana non fu certo scritto, né concepito da Licio gelli, al quale fu affidato il reclutamento, la gestione esposta e le azioni sanguinarie, ai quali il "Venerabile, che mai avrebbe pensato di poter esser tale", si prestò con tutto il peso degli interessi compositi che la P2 rappresentò, e l'amoralità grezza, italiana, del maneggione, sempre più ambizioso, mano a mano che le sue possibilità di vivere al di sopra delle sue possibilità diventavano reali, in combinazione con le figure sfumate che tessevano la trama e che gliene affidavano l'esecuzione. Il tabulato dei "Cinquecento" non è mai stato scoperto o reso noto. Lo teneva in qualche forziere, italiano od estero, Mario Barone, Amministratore delegato del Banco di Roma, uomo con "il pelo sullo stomaco", perché, richiesto, due anni di carcere vero se li fece, senza mai tradire la consegna. A pena scontata, fu reintegrato e ulteriormente promosso al Banco di Roma, regolarmente pensionato e sontuosamnente liquidato. Oggi che, fallito il tentativo berlusconiano, perchè osteggiato dalla composita sinistra attuale, sotto l'egida dell'Europa massonica, il Piano di rinascita italiana è almeno alla metà della sua realizzazione, dobbiamo tristemente constatare che all'obiettivo è stato chiamato un fantaccino, posto ai vertici da un Presidente ex comunista, nel segno del solito "realistico" trasformismo subdolo e subordinato. La rinascita italiana messa in opera da un comunista fallito, eppur Presidente e da un fanfarone che si presta per sedimentare una posizione sociale. Nel solco del nostro tratturo, che un qualche "Gladio" è sempre pronto, nascostamente, a difendere a beneficio delle successorie e mascherate figure.

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