giovedì 3 dicembre 2015

Come in ogni guerra.

La diatriba fra la Turchia e la Russia, impegnate a parole contro il IS, ma solo sul fronte Curdo-Siriano ( trascurando l'Iraq ) assume toni vebalmente virulenti. Ieri, quattro generali russi hanno tenuto un briefing, durante il quale hanno mostrato le immagini satellitari dell'entrata entro i confini anatolici, senza controlli, delle cisterne cariche di petrolio, trivellato dagli operai del califfato, senza che nessuno, né Russi, né Turchi, né Statunitensi, li abbiano mai bombardati: si denunciano le speculazioni ( pagate con delle armi )petrolifere di Stati e dinastie politiche ed affaristiche, ci se le scambia alla pari, ma nessuno ha pensato di inbire ai miliziani scalzi e soprattutto ai loro Capi, l'introito miliardario della vendita di energia. Nessuno ha bombardato quei pozzi a cui lo stesso Saddam Hussein diede fuoco, quando fu costretto a rientrare nei suoi confini, anzi a ridurli a una zona mediana dell'Iraq originario, dopo il suo tentativo di annettersi il Kuwait. "Se sarà provato, mi dimetterò". Strana affermazione. O sei innocente o sei colpevole e nessuno meglio di te può saperlo. Che cosa vuol dire dunque, "se riusciranno a dimostrarlo?" Dal canto suo Vladimir Putin si muove con sapienza tattica ( quale sarà la sua strategia, lo vedremo nel tempo ). Si muove senza inibizioni, applica alla Turchia le sanzioni che gli occidentali hanno riservato al suo Paese, sfoga sul competitore storico nell'area la sua intenzione di decidere, di essere protagonista, in tutte le crisi internazionali. Come si conviene ad una potenza atomica, alla quale non verrebbe riconosciuto alcun ruolo paritario in un'ipotetica area comune, rifiutata fin dall'inizio. Solo le aree di Mosca e di San Pietroburgo sono sviluppate, in termini mercantili, il resto del territorio è povero. Eppure Putin ha sottratto la Russia allo scempio sociale che il capitalismo finanziario le aveva apportato. Putin - da solo o in solido con la palude cecena - ha sulla sua insensibile coscienza la morte violenta di Anna Politkovskaja e numerosi regolamenti di conti con gli oligarchi con lui in competizione ( ostracismo o incarcerazione ), ma quell'altro campione della dittatura elettiva, Recep Tayyip Erdoğan, non riesce a controllare la sua bulimia vampiresca, sia che si tratti di sangue, sia che si tratti di affari condotti dalla cabina di regia di un potere senza contraltari. Voglio ricordare la morte, per "suicidio" della coraggiosa giornalista britannica Anne Sutton, trovata impiccata in una ritirata dell'aeroporto di Istanbul. E' forse il caso, pur recentissimo, più rimosso nella successiva, lunga e continua catena di interventi omicidi condotti da Erdogan per tentare, con crescente insuccesso, di sedimentare il suo potere feudale. Così, nei cieli e nelle fratte delle intelligences, si conduce una battaglia di interessi personali o geo-politici, facendo coincidere o tentando di far conicidere le due "esigenze", mistificandone l'illustrazione. Come in ogni guerra. Se la guerra è la continuazione della politica, con altri mezzi, che cos'è la politica se non il pretesto per arricchimenti personali? Poi arriva, inaffidabile, la nemesi storica.

Nessun commento:

Posta un commento

Sono graditi i tuoi commenti